Silent Spring

Avrei voluto arrivare lo scorso anno a raccontare di un libro che ha prodotto importantissimi cambiamenti, l’avevo letto proprio allora, quando si celebravano i 60 anni dalla sua pubblicazione. Uscito il 27 settembre 1962, Silent Spring (Primavera Silenziosa) di Rachel Carson, divenne in poco tempo un libro leggendario, una pietra miliare della letteratura scientifica scritto da una biologa marina con lo scopo di aprire gli occhi alle persone sui gravissimi danni che stavano subendo gli uccelli che – come anche altre specie animali, morivano per i veleni che avevano invaso le campagne.

Gli esseri viventi del Pianeta non erano mai riusciti a modificare prima l’ambiente in maniera così drastica quanto l’Uomo nell’ultimo secolo. La Carson denunciò le nuove sostanze chimiche che ogni anno l’uomo crea per sintesi senza che alla Natura sia permesso di codificarle e riconoscerle, accoglierle e attribuire loro un’utilità. Sostanze estranee alla biologia che venivano, e vengono, polverizzate e irrorate ovunque e in particolar modo nelle colture agricole, nei giardini, nelle foreste e nelle abitazioni.

Gli insetti, di utilità straordinaria a piante e animali, sono invece visti come mostri che insidiano la produzione alimentare dell’umanità e portano malattie. Ma la vera insidia è stata la monocoltura, che ha spazzato via gli ecosistemi e le diversità biologiche che operano in sinergia e in perfetto equilibrio. La produzione agricola basata su singole specie ha promosso l’esplosione di parassiti verso i quali la Natura è disarmata. Così, si introdusse il DDT, e allo svizzero che lo scoprì, Paul Muller, fu assegnato il Premio Nobel. 1939. Nel 1950, la FDA dichiarò che con ogni probabilità i rischi potenziali del DDT erano stati sottovalutati.

Tra tutti gli idrocarburi, tre insetticidi vengono ritenuti i più potenti tossici: la dieldrina, l’aldrina e l’endrina. L’aldrina, come quasi tutti gli insetticidi del suo gruppo, proietta un’ombra minacciosa sul futuro, l’ombra della sterilità.

L’endrina è il più tossico idrocarburo clorurato, ed è 15 volte più potente per tossicità della dieldrina per i mammiferi, 30 volte per i pesci e circa 300 volte in alcune specie di uccelli.

L’altro grande gruppo di insetticidi – quello dei fosfati organici – è composto di sostanze chimiche velenose come poche altre al mondo. Quasi subito il governo tedesco si accorse del valore di quei composti come arma nuova e sterminatrice, pertanto la lavorazione fu tenuta segreta. Qualcuno servì per la produzione dei micidiali gas bellici; altri diventarono insetticidi.

Bisogna chiedersi quale sia l’utilità e il senso dell’esistenza di qualunque insetto e di qualunque erba, da cui dipendono le api e molti altri equilibri. Le erbacce, come l’Uomo utilitarista le chiama, non esistono. Noi distruggiamo ciò di cui non capiamo il senso.

Così, quelle irrorazioni di morte uccisero insetti e specie vegetali, e poi gli uccelli; le Primavere divennero silenziose. Si trovarono uccelli morti ovunque, mentre altri sopravvivevano e costruivano i nidi senza deporvi alcun uovo a causa della sterilità indotta dalle irrorazioni. La stessa sorte toccò ad altri animali selvatici, o alle mandrie che si nutrivano di quell’erba avvelenata. Era un silenzio di dolore.

Le cellule avvelenate smettono di dividersi, i cromosomi si alterano, le mutazioni si abbattono su figli e cuccioli.

L’industria chimica attaccò duramente la Carson, ma l’opinione pubblica vinse e si fece sentire obbligando il Senato U.S. a volerci vedere chiaro. Si arrivò a vietare l’uso del DDT il 14 giugno 1972, dopo decenni di avvelenamento del pianeta e delle sue creature.

Rachel Carson (1907-1964), bird watcher, biologa marina, osservatrice rispettosa della natura, ha anticipato le grandi battaglie ambientaliste del Novecento; non era solo il denaro, il concetto, ma era il diritto a disporre come si voleva degli altri esseri viventi, non riuscendo a concepire l’idea di equilibrio tra l’Uomo e gli Altri.

Non dobbiamo permettere che si ripeta una simile storia. Grazie Rachel.

Agli alberi

In quella grande casa, una stanza sarà segreta come quella dei migliori romanzi. Mi ci recherò solo io chiudendo la porta dietro di me. Sarà un luogo di contemplazione, lettura, preghiera, meditazione, creazione, silenzio. Le pareti ospiteranno volti e parole. Su una, in bella calligrafia, questo Inno Agli Alberi di Hugo. Affacciandomi dalla finestrella, nel punto alto della casa, vedrò quel bosco così amato, così generoso e amico. E non saprò resistere dal discendere i piani velocemente e, in quel bosco, immergermi di luci e di fruscii, di carezze e di sussurri, alzando lo sguardo per cogliere la possenza di un albero, o sedermi ad ascoltare la sua voce.

Non rumori ma messaggi, non parole ma vibrazioni. E profumi. E respiri all’unisono. E pace.

Agli alberi
 
Alberi della foresta, voi conoscete il mio animo!
Come gli invidiosi, la folla loda e critica;
Voi mi conoscete, voi! Mi avete spesso visto,
Solo nelle vostre profondità, guardando e sognando.
Voi lo sapete, la pietra su cui corre lo scarabeo,
L’umile goccia d’acqua di fiore in fiore caduta,
Una nuvola, un uccello, mi occupano un giorno intero.
La contemplazione m’empie il cuore d’amore.
Mi avete visto cento volte, nella vallata oscura,
Con le parole che dice lo spirito alla natura,
Interrogare sottovoce i vostri rami palpitanti,
E con lo stesso sguardo inseguire al tempo stesso,
Pensoso, la fronte chinata, lo sguardo nell’erba profonda,
Lo studio d’un atomo e lo studio del mondo.
Attento ai vostri suoni che parlano tutti un poco,
Alberi, mi avete visto fuggire l’uomo e cercare Dio!
Foglie che trasalite alla punta dei rami,
Nidi di cui il vento da lontano semina le piume bianche,
Chiarori, vallate verdi, deserti oscuri e dolci,
Voi sapete che sono calmo e puro come voi.
Come al cielo i vostri profumi, il mio culto a Dio si protende,
E son pieno di oblio come voi di silenzio!
L’odio sul mio nome sparge invano il suo fiele;
Sempre, – io vi attesto, oh boschi amati dal cielo! –
Ho cacciato lontano da me ogni pensiero amaro
E il mio cuore è ancora come lo fece mia madre!
Alberi dei grandi boschi che fremete sempre,
Io vi amo, e voi, edera alla soglia degli altri sordi,
Forre in cui si sentono filtrare le fonti vive,
Cespugli che gli uccelli saccheggiano, gioiosi convivi!
Quando sono tra voi, alberi di questi grandi boschi,
In tutto quel che m’attornia e mi nasconde al tempo stesso,
Nella vostra solitudine in cui rientro in me stesso,
Sento qualcuno di grande che m’ascolta e che mi ama!
Così, boschi sacri in cui Dio stesso appare,
Alberi religiosi, querce, muschi, foresta,
Foresta! È nella vostra ombra e nel vostro mistero,
Nella vostra chioma augusta e solitaria,
Che voglio riparare il mio sepolcro dimenticato,
E che voglio dormire quando mi addormenterò.
 
Victor Hugo

Viscum

L’usanza di appenderlo sull’uscio o in casa risale ai Celti che lo ritenevano misterioso. È infatti una pianta semiparassita che vive abbracciando altri alberi come il melo, il pero, il pino e soprattutto la quercia.
Essendo priva di radici, la si riteneva portata direttamente dagli dei e fatta cadere dal cielo come neve su un albero; di conseguenza era una pianta sacra, così come tale era considerata anche la pianta che lo ospitava, purché fosse un rovere.

Per i druidi, infatti, nulla era più sacro dei boschi di rovere, e nessun rito sacro poteva esser svolto senza l’utilizzo di alcune fronde di questi alberi. E, dunque, tutto ciò che aveva a che fare con il rovere era automaticamente considerato sacro e portatore di mistero, inviato da un’altra dimensione, una volontà divina. Il nome stesso di Druido contiene la duplice radice DRU, forza, il cui simbolo è la quercia, e VID, conoscenza, rappresentata dal vischio.
La pianta di vischio connette dunque alla divinità ed è fonte di conoscenza e saggezza. I suoi rami possono essere raccolti solo quando la luna è sufficientemente forte, nella notte madre dopo il solstizio invernale.
Una volta raccolti dal druido con una falce d’oro, essi venivano immersi nell’acqua, e quest’acqua veniva poi offerta da bere al popolo come antiveleno e contro l’infertilità, ma anche contro malefici e sortilegi. Per i latini, il vischio risultava inattaccabile dal fuoco. Era dunque di buon auspicio circondarsene nelle abitazioni, come tutt’ora si ritiene.
Il vischio ha proprietà ipotensive vasodilatatrici e cardiotoniche. Per uso esterno veniva impiegato per guarire le ulcere, come ben sapevano i vati celtici. È quindi portatore di un forte simbolismo rigenerativo, ed è per questo che – all’inizio di un nuovo anno – ancora oggi ci si scambia gli auguri sotto un suo ciuffo.

Auguri!

Amici

E’ il tempo degli gnomi, che i boschi spogli non riescono più a nascondere tra le fronde.

Se si entra nel loro territorio, si avrà la sensazione di sentirsi osservati. Allora, girandoci di scatto, vedremo che spesso gli gnomi non sono riusciti a nascondersi in tempo (eh si, sono dispettosi…) e cercheranno di assumere la forma di un tronco.

… o di una vecchia grondaia

Quando poi, dopo una prima avanscoperta, penseranno di non essere più in pericolo, inviteranno anche le gnomesse ad accompagnarli. In genere raccolgono castagne rinsecchite, funghi congelati, foglie con cui confezionano giacigli nei tronchi, e molte altre cose. Tutto può essere trasportato coi grandi grembiuli che indossano.

Se poi capiscono che non hanno nulla da temere, si rassicurano e chiamano parenti e amici. Allora, sarà facile sentirli giocare e danzare, perché sono molti, soprattutto di notte.
Li troverai ovunque, e non riuscirai mai a capire dove si nascondessero prima.

Mai lasciare in giro una pala da neve, un piccone o un qualunque attrezzo, perché non esiteranno a prenderlo in prestito per l’intera stagione (poi, un giorno, ricomparirà come per magia). Nemmeno i cesti di vimini, o le tovaglie scozzesi. Adorano questi oggetti come amano il Natale, le lucine, la neve. Li ho sentiti addirittura cantare!

Ormai siamo amici, e siccome i loro veri nomi sono impronunciabili e lunghissimi, mi inventerò un modo facile per chiamarli spesso.

Leggere: Fechner

Nanna era la sposa del dio della luce Baldur, una delle più importanti divinità minori della mitologia norrena, ed era considerata la dea del mondo dei fiori. L’epoca della fioritura è quindi governata dal regno di Baldur.

Così titola Gustav Theodor Fechner la sua opera: Nanna, o l’anima delle piante. Un libretto delizioso con cui il filosofo ottocentesco si domanda – e argomenta – sull’esistenza dell’anima nelle piante.

Chi è dotato di una certa sensibilità e spirito di osservazione, già sa. Chi si rivolge alle piante accarezzandole e parlando con loro, complimentandosi per la loro crescita, per i frutti donati, per i boccioli o i fiori offerti, già comprende. Chi vive nei boschi, poi, non vede in quell’apparente immobilità alcuna privazione ma, semmai, si pone nel voler ricercare il linguaggio giusto per comprendersi reciprocamente.

Fechner parte da una domanda semplice quanto grandiosa: Un’anima, per conoscerne un’altra, può farlo solo mediante segni esteriori e corporei? In effetti, una parte dell’umanità (non tutta) riconosce un’anima anche agli animali, vedendo in loro la capacità di muoversi, gridare, nascere e morire, soffrire, mentre in considerazione delle differenze esistenti, viene sottratta loro la ragione. Alle piante, invece, la stessa parte di umanità vi sottrae l’intera anima.

Se allora è questa la strada da perseguire, ovvero la somiglianza all’uomo, ecco che piante e animali possono offrire moltissime consonanze: nei processi vitali, nel modo di produrre l’intera struttura cellulare da una cellula-ovulo, mediante il processo di divisione delle cellule, osservando come un seme ed un uovo siano in sostanza solo due forme diverse della medesima cosa.

Ma potrebbero esserci anime che si esprimano non correndo gridando o mangiando, ma piuttosto fiorendo e spandendo odori, assorbendo la rugiada e spingendo fuori le loro gemme, ricercando la luce, e noi dovremmo comprendere questo evitando qualunque sillogismo.

Molti milioni di uomini di diversi popoli hanno ritenuto e ritengono che le piante siano animate. Per le civiltà antiche tutto, nella natura, lo è. In nome di una scienza che io disconosco, respingiamo il pensiero d’un’anima delle piante, ma i nostri ricordi ancestrali ci ricollocano a quella conoscenza: ne parliamo nelle nostre poesie, nelle nostre metafore che ci riportano ad uno stato naturale in cui tutti noi eravamo perfettamente integrati, ad una memoria impossibile da cancellare realmente.

Nella natura sdivinizzata anche le piante sono rimaste inanimate, l’anima è stata loro strappata.

Non è il sistema nervoso, da ricercarsi. Non in una parte del creato per la quale, semplicemente, questo non è stato previsto. Non è cercando somiglianze con la nostra sensitività, che possiamo negare la sensitività altrui. Nelle piante non c’è il nervus sympathicus che regola diverse funzioni, ma possiamo forse affermare che in esse non avvenga la respirazione, la circolazione, la nutrizione? E dunque perché, si chiede Fechner, non potrebbero sentire avvalendosi semplicemente di altro?

Se le piante corressero e gridassero come noi, nessuno negherebbe loro l’anima. Tutti quei delicati e silenziosi indici d’anima che esse mostrano non contano per noi quanto gli altri, grossolani, che non riscontriamo. E se le piante fossero mute per noi poiché noi siamo sordi per esse? Il crescere della pianta è ciò che per l’animale è l’agire. Chi asserisce che l’animale è libero deve dichiarar libera anche la pianta, chi ritiene quello non libero, non può nemmeno a questa attribuire la libertà; e allora non si potrà più esigere la libertà come condizione del possesso dell’anima da parte della pianta, poiché non la si esige per l’animale.

Ecco Fechner e il suo pensiero. Delicato, commovente, da amare.

Abbondanza

Abbiamo voluto fortemente che a Fairy House ci fossero delle arnie; la varietà di piante e di essenze qui è tale, infatti, da rappresentare un meraviglioso habitat per le api. Così, scelte le casette e tutti i componenti di cui nemmeno sapevo dell’esistenza, acquistati nuclei di api con api regine di diversa provenienza che, come ho scoperto, determinano miele di diversa qualità, abbiamo chiesto loro, semplicemente, di fare ciò che sapevano di dover fare. Senza fretta, senza sfruttamento alcuno, senza aspettarci nulla più del minimo che avremmo comunque considerato una benedizione, per noi e per loro stesse. Le ho osservate crescere le loro covate e lavorare instancabili fino a che, dopo solo un mese, i telai erano così zeppi di miele da esplodere. Pare, infatti, che nonostante la siccità questo sia un anno buono per la produzione, dopo che alcune annate precedenti lo erano state meno, e noi non ci aspettavamo di sicuro questo successo sin dai primi tempi. Il giorno della raccolta del miele, abbiamo lavorato insieme all’apicoltore che ci segue e che estrae materialmente i telai con l’ausilio dell’affumicatore che allontana le api momentaneamente. Lui passava a noi i telai, e noi ne raccoglievamo il contenuto in un grande bidone apposito. Non appena si aprono le celle, esagoni perfetti, il miele gronda a non finire. Non immaginavo che in un solo mese la produzione fosse così elevata! Abbiamo avuto l’accortezza di lasciare del miele sui singoli telai, che occorrerà per nutrire i nuovi piccoli, e ho raccolto personalmente tutte le giovani api cadute per rimetterle dove era il loro posto. Sapendo quale era la mia intenzione, nessun adulto mi ha mai punto, e non avevo alcuna protezione 😊

Abbiamo anche recuperato un alveare di api selvatiche che ronzava all’interno di una canna fumaria di una vecchia casa abbandonata. La quantità di miele che avevano prodotto era stupefacente, e abbiamo posizionato il nucleo in una nuova arnia tutta per loro.

Ecco quindi il primo Miele delle Fate, di acacia perché questo albero molto diffuso da queste parti fiorisce tra marzo e aprile. I telai sono stati poi riposizionati, ed ora le api stanno lavorando di nuovo per donare tra poco il miele di castagno, più scuro e più forte, ricchissimo di proprietà. Il mio desiderio, il prossimo anno, è di ottenere il miele di rododendro, quello di lavanda e di girasole. Dopodiché, con la cera d’api produrrò le candele e le creme per le mani e il viso. Raccoglierò anche la propoli e il polline e ne farò ampolline preziose per la salute. Il prossimo anno, il numero di arnie aumenterà e ne metteremo altre in altri terreni, perché tutto questo è semplicemente emozionante.

Mi piace pensare di fare la mia parte nella salvaguardia degli insetti impollinatori, così importanti per l’eco sistema stravolto dall’uso di veleni ovunque. Si stima che le circa 50.000 api che costituiscono ogni singolo alveare, si posino su 10 milioni di fiori. Anche su un balcone di città, però, o in un pezzettino di terreno qualsiasi, si può creare una zona-rifugio per loro coltivando fiori nettariferi, frutti e piante aromatiche: basilico, pomodori, rosmarino, fragole, meloni, e altro, da cui bandire ogni pesticida. Questa zona offrirà loro un habitat sicuro e un nutrimento secondo i loro bisogni. Gesti come questo, riconnettono alla natura e al suo fluire, secondo un ordine cosmico elevato e da rispettare ad ogni costo, facendoci sentire costruttori di santuari.

Emerson 6

CONDOTTA DI VITA

RICCHEZZA

A possedere dovrebbe essere chi sa amministrare, non chi tesaurizza e nasconde; non quelli che, quanto più si fanno gran proprietari, tanto più si fanno grandi accattoni, ma coloro il cui lavoro ricava lavoro per altri, apre un sentiero per tutti. Perché è ricco l’uomo, se in lui la gente è ricca, ed è povero, se in lui la gente è povera.

Se prendete da State Street i dieci commercianti più onesti e ci mettete dentro dieci furfanti a controllare la stessa quantità di capitale, i tassi dell’assicurazione lo indicheranno, la solidità delle banche lo mostrerà, le strade saranno meno sicure, le scuole ne risentiranno, i bambini porteranno a casa la loro piccola dose di quel veleno, il giudice avrà minor fermezza sul suo seggio e le sue decisioni saranno meno rette – avrà perso molto del suo sostegno e molto del suo ritegno, di cui tutti han bisogno – e la tribuna, con una regola di vita più lassista, tradirà questo stato di cose.

La dissolutezza non consiste nello spendere denaro a palate o anni di tempo, ma nello spenderli al di là della linea della vostra carriera. Il crimine che manda in bancarotta uomini e Stati è quell’impiego che si basa su lavoretti: rifiutare il vostro progetto principale per servire con turni di qua e di là. Nulla è indegno di voi, se è nella direzione della vostra vita: nulla è grande o desiderabile se le è estraneo. Penso che siamo qui autorizzati a tracciare una linea diritta e a dire che la società non potrà mai prosperare, ma sarà sempre in bancarotta fintanto che ogni uomo non faccia ciò per cui fu creato.

COMPORTAMENTO

I volti e gli occhi rivelano cosa sta facendo lo spirito, quanto è vecchio e che mire abbia. Gli occhi indicano l’antichità dell’anima, o attraverso quante forme sia già ascesa.

Gli occhi degli uomini conversano quanto le loro lingue, con il vantaggio che il dialetto oculare non richiede alcun dizionario, ma è inteso in tutto il mondo. Quando gli occhi dicono una cosa e la lingua un’altra, un uomo esperto fa affidamento sul linguaggio dei primi. Se l’uomo è fuori dal suo centro, gli occhi lo mostrano. Potete leggere negli occhi del vostro compagno se il vostro argomento lo colpisce, benché la sua lingua non lo confesserà. C’è uno sguardo mediante cui un uomo mostra che sta per dire una buona cosa, e uno sguardo di quando l’ha detta. Vana e perduta è ogni fine offerta e ospitalità, se nell’occhio non c’è giorno di festa.

Ci sono occhi che domandano, occhi che affermano, occhi che vanno in cerca di preda; e occhi ricolmi di fato: alcuni di buono, altri di sinistro auspicio.

VENERAZIONE

Possiamo vedere fuori solo ciò che abbiamo dentro. Se non incontriamo nessun dio, è perché non ne ospitiamo nessuno. Se in voi c’è grandiosità, troverete grandiosità in facchini e spazzacamini. È immortale solo colui per il quale ogni cosa è immortale.

L’uomo i cui occhi sono inchiodati non alla natura del suo atto, ma al salario, sia esso danaro, o ufficio, o fama, è uomo quasi ugualmente basso. Grande è colui i cui occhi sono aperti per vedere che non si può sfuggire alla ricompensa delle azioni, perché egli si trasforma nella sua azione e ne assume la natura, ed essa dà i suoi frutti come ogni altro albero. Un grande uomo non può veder impedito l’effetto del suo atto, perché è immediato.

‘Napoleone’, dice Goethe, ‘visitava quei malati di peste per provare che l’uomo che sa sconfiggere la paura può sconfiggere anche la peste; e aveva ragione. In quei casi la volontà ha una forza incredibile: penetra nel corpo e lo pone in uno stato di attività, il quale respinge tutti gli influssi dannosi; il timore invece li invita’.

CONSIDERAZIONI INCIDENTALI

La natura fa cinquanta meloni cattivi per averne uno buono, e scrolla un albero pieno di mele selvatiche aspre, piene di vermi, immature, prima che possiate trovare una dozzina di mele da dessert; e disperde nazioni di indiani nudi e nazioni di cristiani vestiti, con due o tre teste buone fra di loro. La natura lavora molto sodo e fa centro solo una volta su un milione di tiri. Nel genere umano, è contenta se frutta un maestro in un secolo. Quanto più è difficile creare uomini buoni, tanto più saranno utilizzati quando verranno.

Il gelo che uccide il raccolto di un anno, salva i raccolti di un secolo, distruggendo il tonchio o la locusta. Guerre, incendi, pesti, interrompono l’immobile routine, ripuliscono il terreno dalle razze marce e dalle tane d’intemperanze e disturbi, e aprono un campo libero per nuovi uomini. Nelle cose c’è una tendenza ad aggiustarsi, e guerra o rivoluzione o bancarotta che spappola un sistema marcio, consentono alle cose di assumere un ordine nuovo e naturale.

BELLEZZA

La mancanza di empatia fa del suo registro uno stupido dizionario. Ne risulta un uccello morto. L’uccello non consiste in once e pollici, ma nelle sue relazioni con la Natura; e la pelle o scheletro che mi mostrate, non è più un airone, non lo è più di quanto un mucchio di ceneri, o una bottiglia di gas a cui si sia ridotto un corpo, è Dante o Washington.

La chimica manda in pezzi ma non costruisce. L’alchimia che cercava di trasmutare un elemento in un altro, di prolungare la vita, di armare di potenza, andava nella giusta direzione. A tutta la nostra scienza manca un lato umano. Il proprietario è più della casa.

La motivazione della scienza era l’estensione dell’uomo da ogni lato, nella Natura, al punto che le sue mani potessero toccare le stelle, i suoi occhi vedere attraverso la terra, le sue orecchie capire il linguaggio delle bestie e degli uccelli e il senso del vento; e, attraverso la sua simpatia, cielo e terra avrebbero dovuto parlare con lui. Ma questa non è la nostra scienza. Queste geologie, queste chimiche, queste astronomie, sembrano renderci saggi, ma ci lasciano al punto in cui ci hanno trovato. L’invenzione è utile all’inventore, e l’aiuto che porterebbe a chiunque altro è discutibile.

Il collezionista ha fatto seccare tutte le piante nel suo erbario, ma ha perso chili e buon umore. Ha tutti i serpenti e le lucertole nelle sue fiale, ma la scienza ha fatto altrettanto con lui: ha imbottigliato l’uomo. La nostra fiducia nel medico è una sorta di disperazione di noi stessi.

NATURA

INTELLETTO

Nella mente di ogni uomo rimangono senza sforzo impresse immagini, fatti e parole, che altri dimenticano, e che in seguito gli rivelano leggi importanti. Tutto il nostro progresso è sviluppo, come lo è la gemma vegetale. Prima voi avete un istinto, poi un’opinione, poi una conoscenza, come la pianta ha prima la radice, poi il germoglio e poi il frutto. Confidate nell’istinto fino alla fine, anche se non potete rendervi ragione di esso. È vano lo stimolarlo; confidando nell’istinto fino alla fine, esso maturerà nella verità e voi saprete perché credete.

Nessun uomo può guardare Iddio faccia a faccia e vivere.

Dio offre ad ogni mente la scelta fra la verità ed il riposo. Scegliete quale volete – ma ambedue non le potrete mai avere. Fra esse l’uomo oscilla come un pendolo. Colui, in cui l’amore del riposo predomina, accetterà il primo credo, la prima filosofia, il primo partito politico che egli incontra – e con tutta probabilità quello di suo padre. Egli ottiene il riposo, l’agio, la reputazione; ma egli chiude la porta alla verità. Colui, in cui predomina l’amore della verità, si terrà libero da tutte le catene e navigherà. Egli si asterrà dal dogmatismo, e riconoscerà tutte le negazioni opposte, fra le quali, come fra dei muri, il suo essere è agitato. Egli si sottomette agli inconvenienti dell’incertezza e dell’opinione imperfetta; ma egli è un candidato della verità come l’altro non lo è, e rispetta la più alta legge del suo essere.