Quando qualcuno dice di conoscermi, e magari aggiunge anche ‘bene’, mi lascia sempre perplessa. Comincio ad entrare in paranoia e, dialogando con me stessa, gli dico che, caro mio, non solo non mi conosci né mai mi conoscerai vivessimo insieme anche per cento anni, ma sono io stessa a dover fare uno sforzo quotidiano per avvicinarmi appena un poco alla conoscenza di me, per poi allontanarmene ogniqualvolta il mondo materiale mi richiama da qualche parte. E questo vale per tutti. E’ piuttosto assodato che nessuno possa realmente conoscere l’altro, e ancor meno lo conoscerà vivendoci assieme. Sembrerebbe un paradosso, ma è così. Vivendo con un’altra persona, coniuge, convivente, parente che sia, si assumono dei ruoli sin dall’inizio che partono in sordina per poi venire rafforzati e portati avanti a lungo divenendo ulteriori abiti che non possiamo togliere senza scardinare qualcosa. Più a lungo si resta in quel rapporto e più ci si allontana l’uno dall’altro, in quanto ogni essere umano non è mai la stessa persona di anno in anno, di esperienza in esperienza, di pensiero in pensiero. Qualcuno forse si salva, prova una vera connessione, ma credo rappresenti lo zero virgola dell’umanità intera. Talvolta viviamo interiormente dei drammi senza lasciar trapelare nulla all’esterno; in certe fasi della nostra vita affrontiamo delle vere e proprie mute, cedendo la pelle precedente e indossandone un’altra completamente nuova senza che l’altro se ne sia nemmeno accorto. E quand’anche avessimo desiderio di raccontare chi siamo ora, scopriamo che è troppo tardi e che l’altro è rimasto su quel binario dall’inizio mentre tu, per varie vicissitudini, su quel binario non ci sei più. Condividere un appartamento nulla ha a che vedere con la condivisione del proprio percorso personale, anche se si avessero le migliori intenzioni e anche se si condividesse tutto il tempo libero, tutti i discorsi fatti in casa, qualunque vacanza. Il percorso personale si chiama così perché è personale e non di coppia, ma non è facile da comprendere. Nessuno di noi è nato per stare in coppia, ma per raggiungere i propri traguardi.
In questo schema, sono riportati i quattro livelli della persona.
Il Sé fisico è rappresentato dal proprio aspetto esteriore (il vestito dell’anima, per intenderci): ognuno di noi è alto o basso, ha gli occhi chiari o scuri, determinati lineamenti, utilizza certe gestualità, ha una certa voce, ecc.
Il Sé sociale racchiude invece il nostro comportamento e la personalità.
Quando qualcuno dice di conoscerci, allude in genere al fatto di conoscere non solo il nostro aspetto, magari anche ad un livello più intimo, ma di conoscere il nostro carattere e la nostra personalità. Ebbene, questi due ‘sé’ rappresentano solo il 10% dell’essere umano. E’ dunque impossibile che, un solo 10%, determini una conoscenza e, in pratica, nessuno di noi conosce in realtà nessun altro limitatamente a questi due livelli.
C’è poi il sé emotivo, rappresentato dagli umori, dalle nostre personali risposte alla realtà che ci circonda, ai fenomeni della vita materiale; è ciò che proviamo con le persone e con le circostanze e come lo interpretiamo. Riportando il discorso al tema della coppia, ma anche familiare in senso più allargato, il sé emotivo è spessissimo tenuto nascosto ai conviventi perché è quell’angolo di noi in cui si trovano i buoni o i cattivi sentimenti, le emozioni superficiali o quelle più profonde che appartengono solo a noi. Non è qualcosa che vogliamo togliere all’altro, ma è piuttosto qualcosa che intendiamo custodire e analizzare, e la possibilità che l’altro sappia leggerci dentro come un libro aperto dipende, appunto, da lui e non da noi.
L’80% del sé è spirituale, attiene all’anima ed è ciò che è più ignoto di noi agli altri e spesso anche a noi stessi, a meno di intraprendere un percorso in tal senso cominciando da un’opera di graduale distacco dagli altri sé. Questo può comportare un profondo stravolgimento ed anche l’allontanamento di chi, pensando di conoscerci, non ci conosce affatto.
“Uomo, conosci te stesso”
è una frase meravigliosa perché può insegnarci tanto sia col punto esclamativo finale che con quello interrogativo…
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E conoscersi richiede il silenzio, il ritrarsi, senza nulla dover spiegare. Mi piace quando appari. Grazie.
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