C’è una poetica del mattino. Recandomi a piedi alla stazione, lungo un percorso di un chilometro e mezzo, attraverso viali alberati e costeggio vasti prati. E incrocio persone osservandole con interesse. Alcune di loro, di buon’ora, escono per portare fuori il proprio cane. Vedo allora quell’uomo dall’aspetto un po’ burbero che attende amorevolmente che il suo piccolo cagnolino lo raggiunga, girandosi di tanto in tanto. C’è la donna anoressica con un minutissimo cane, anch’esso un po’ tale. Un’altra ha uno yorkshire tripode, che saltella con un’energia e un sorriso da cane stampato sul musetto. Mi fermo, con quella signora, e mi racconta che quel cane era destinato alla soppressione ma lei lo ha impedito e, dal profondo sud dove si trovava in vacanza, lo ha portato a vivere qui. All’andata, lui saltella da solo; al ritorno, lei lo porta in braccio per non farlo stancare troppo. Talvolta, queste persone con i cani si fermano e chiacchierano in gruppo; poche parole in attesa che i loro cani le raggiungano e si fiutino un po’. C’è una poetica in quei grandi prati, talvolta di erba alta, talvolta appena rasati, così come c’è una poetica nei lombrichi che escono sull’asfalto nelle giornate di pioggia; li scanso uno ad uno, e a volte mi fermo ad osservarne il movimento, o li salvo da morte certa raccogliendoli con un legnetto e posandoli sull’erba. C’è una poetica nei maestosi alberi che incrocio, fissi nel loro posto perenne; un giorno sono fioriti, un altro giorno sono verdissimi, e poi rosso fuoco, e ancora coi soli rami colmi di gelo. Li guardo sempre, saluto anche loro e mi accorgo di quanto tutto questo accompagni le mie giornate, le mie settimane, i mesi, gli anni. C’è una poetica nel giungere in stazione e guardarsi negli occhi. Non ci si conosce personalmente, ma ci si vede quasi sempre e, talvolta, ci si saluta con un cenno d’intesa. Sul treno, poi, c’è una poetica nell’alzare lo sguardo dal libro e guardare a volo d’uccello sulle teste di tutti: anime con la propria storia, ognuna impegnata nel cercare la stessa risposta. Invio i miei auguri di benevolenza a tutte loro, anche se urlano in treno, anche se spintonano o non ti lasciano sedere o leggere. Sono anime incerte, mi dico, e mi rimetto sul libro. C’è una poetica quando, giunta al lavoro dopo altri due mezzi, vedo volti noti da anni e scambio, non sempre, qualche parola. Si inseriscono anch’essi in un disegno generale, mi dico, e ci si continua ad incontrare giorno dopo giorno, ognuno parte della vita degli altri.