Non sento parlare di poesia; non sento mai che essa sia trattata nei circoli, nei bar, tra la gente comune come un tempo avveniva. Non sento più che i versi siano letti e discussi nelle case, di sera, attorno a un fuoco, o sdraiati su un prato guardandosi negli occhi. Di fronte al mare d’inverno, o ad una luna piena, è ciò che più desidero sia letto e recitato a me da un amico caro, o da un amore sincero.
Le poesie di Sergéj Aleksàndrovic Esenin, meravigliose, sono di una sensibilità elevatissima. Ne propongo cinque. Trovo che una raccolta di poesie di questo grande poeta russo sia, per me, il più bel regalo di San Valentino. Un regalo deve assomigliarci, deve partire da chi ci ha visto dentro, e in questi temi io mi ritrovo, cominciando dalla prima, che è famosissima e struggente, quanto le altre che ho scelto.
La ballata della cagna
Al mattino nel granaio
dove biondeggiano le stuoie in fila,
una cagna figliò sette,
sette cuccioli rossicci
Sino a sera li carezzava
pettinandoli con la lingua
e la neve disciolta colava
sotto il suo caldo ventre.
Ma a sera, quando le galline
si rannicchiano sul focolare,
venne il padrone accigliato,
tutti e sette li mise in un sacco.
Essa correva sui mucchi di neve,
durando fatica a seguirlo.
E così a lungo, a lungo tremolava
lo specchio dell’acqua non ghiacciata.
E quando tornò trascinandosi appena,
leccando il sudore dai fianchi,
la luna sulla capanna le parve
uno dei suoi cuccioli.
Guardava l’azzurro del cielo
con striduli guaiti,
ma la luna sottile scivolava
e si celò nei campi dietro il colle.
E sordamente, come quando in dono
le si butta una pietra per giuoco,
la cagna rotolò i suoi occhi
come stelle d’oro nella neve.
Io ricordo
Io ricordo, o amata, ricordo
Lo splendore dei tuoi capelli,
Senza gioia, con pena
Mi toccò abbandonarti.
Ricordo le notti autunnali,
Il fruscio dell’ombre di betulla.
Fossero stati più brevi i giorni allora
Più a lungo per noi avrebbe avuto splendore la luna.
Ricordo, tu mi dicevi:
‘E tu, o amato, con un’altra
Mi dimenticherai per sempre?’
Oggi il tiglio in fiore
Ha rinnovato i sentimenti,
M’ha ricordato come teneramente
Spargevo di fiore le ciocche ricciute.
E il cuore che mai
Non scema d’ardore
Tristemente amando un’altra,
Come tu fossi la novella preferita,
Con un’altra ti ricorda.
Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco
Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco
verso il paese dov’è gioia e quiete.
Forse, ben presto anch’io dovrò raccogliere
le mie spoglie mortali per il viaggio.
Care foreste di betulle!
Tu, terra! E voi, sabbie delle pianure!
Dinanzi a questa folla di partenti
non ho forza di nascondere la mia malinconia.
Ho amato troppo in questo mondo
tutto ciò che veste l’anima di carne.
Pace alle betulle che, allargando i rami,
si sono specchiate nell’acqua rosea.
Molti pensieri in silenzio ho meditato,
molte canzoni entro di me ho composto.
Felice io sono sulla cupa terra
di ciò che ho respirato e che ho vissuto.
Felice di aver baciato le donne,
pestato i fiori, ruzzolato nell’erba,
di non aver mai battuto sul capo
gli animali, nostri fratelli minori.
So che là non fioriscono boscaglie,
non stormisce la segala dal collo di cigno.
Perciò dinanzi a una folla di partenti
provo sempre un brivido.
So che in quel paese non saranno
queste campagne biondeggianti nella nebbia.
Anche perciò mi sono cari gli uomini
che vivono con me su questa terra.
Sono un pastore
Sono un pastore; le mie case sono
le sponde delle pianure ondeggianti,
I pendii per le verdi colline
Con le grida stridenti di beccacce.
Intessono un pizzo sopra il bosco
Di schiuma dorata le nubi,
Nel calmo dormiveglia sul tetto
Sento il fruscio leggero della pineta.
Alla sera splendono verdi
I pioppi umidi.
Sono pastore; le mie case si trovano
Nella verzura dolce delle pianure.
Parlan con me le mucche
Assentendo con la testa
Le foreste profumate
Coi rami chiamano il fiume.
Dimentico dell’umano dolore,
Dormo sulla ramaglia
Prego nei tramonti purpurei,
Mi comunico presso il ruscello.
Arrivederci, amico mio, arrivederci
Arrivederci, amico mio, arrivederci.
Tu sei nel mio cuore.
Una predestinata separazione
Un futuro incontro promette.
Arrivederci, amico mio,
senza strette di mano, senza parole,
Non rattristarti e niente
Malinconia sulle ciglia:
Morire in questa vita non è nuovo,
Ma più nuovo non è nemmeno vivere.
Grazie Roberta. Un nutrimento per l’anima
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Belle, vero?
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