Lo scopo non è quello di smettere di uccidere completamente, perché questo sarebbe impossibile, bensì ridurre al minimo le sofferenze inflitte ad altre creature mentre pensiamo a noi stessi e al nostro nutrimento. Vi sono moltissime ragioni per scegliere un’alimentazione vegetariana, e queste ragioni possono essere organizzate in un ordine gerarchico. Le illustro a partire da quella a mio avviso meno importante a quella, sempre a mio avviso, più importante.
3) SALUTE
E’ ormai arcinoto come, un’alimentazione vegetariana, possa ricondurre il nostro organismo al suo miglior funzionamento. Le proteine vegetali mantengono basso il livello di colesterolo e non intossicano quanto le proteine animali. La nostra conformazione dice che, a tutti gli effetti, i nostri apparati sono quelli tipici degli esseri che si nutrano di vegetali e frutta. Il fatto, poi, che si sia divenuti onnivori non è da interpretarsi con l’obbligo di mangiare carne, tantomeno per ragioni di nutrienti, ma alla possibilità di nutrirsi di carne all’occorrenza, quando impossibilitati a nutrirsi diversamente.
2) ECONOMIA
Carne e pesce nutrono pochi a spese di molti, e anche su questo ci sono moltissimi studi. Per allevare gli animali da macello, vengono utilizzate enormi quantità di foraggio e di acqua in un rapporto di 1:16: ci vogliono 16 chili di cereali per ottenere 1 chilo di carne. E’ possibile immaginare di essere attorno ad una tavola con 50 persone; nel piatto di una sola di loro troneggia una bistecca da 250 grammi, mentre tutti gli altri piatti sono vuoti. Ciò che le nazioni ricche fanno ai paesi poveri, per ottenere le enormi quantità di carne di cui si nutre, è di depauperare il loro territorio e saccheggiarlo per le grandi coltivazioni, restituendo in cambio l’immissione di pesticidi e la contaminazione delle acque. La scelta vegetariana appartiene quindi ai paesi del benessere, non è tutto il mondo a doversene preoccupare, ma noi si.
1) ETICA
Si macellano miliardi di animali all’anno, e le modalità sono agghiaccianti, anche quelle garantite dalla legislatura sotto la definizione di ‘benessere animale’. Basta entrare in rete e si può ormai visionare di tutto, la scusa del non sapere non può reggere. Bisogna a quel punto stabilire da che parte si voglia stare, se quella violenza faccia parte di noi, del nostro modo di concepire l’esistenza nostra e degli altri. Si tratta di decidere se vedere l’anima degli altri esseri oppure negarne l’esistenza. Se il loro dolore, le loro urla, siano il giusto prezzo per una cena, o un cenone, dato che siamo in zona festività, a base di carne o pesce.
L’ordine che ho scelto di dare alle tre ragioni più note, parte dal presupposto che la salute di ciascuno di noi sia anche una scelta personale. La ragione economica, invece, parte dal presupposto che un cittadino benestante, per il solo principio di volersi nutrire di carne o pesce, decida di mandare in rovina altre popolazioni, quindi un danno agli altri è da considerarsi più grave che un danno a noi stessi presi singolarmente. La ragione etica si discosta dalle due principali, e dunque si pone al vertice: a prescindere da quale sia la mia volontà, infliggere sofferenza e morte non è diritto di nessuno. La vita di chiunque è sacra.
C’è poi una quarta ragione che necessita di essere trattata a parte, ed è il karma e quale sia il rapporto tra cibo e spiritualità. Questa si pone all’origine di tutte, trascende anche la ragione etica pur facendola sua, ma necessita di un minimo di approfondimento e, soprattutto, nonostante sia la più importante, è piuttosto sconosciuta e non la si sente mai citare nei dibattiti. Invece, spiegata questa, tutti resterebbero zitti.
Forse dovrei scrivere del Natale, ma ne scrivo alla mia maniera. Ho addobbato riccamente la casa, come sempre – a questo tengo molto – con palline/lucine/carillon/angioletti dappertutto, candele, ghirlande, essenze, e quant’altro; ho ascoltato una Messa tenuta in azienda dal Vescovo, rimanendo rapita dalla sua omelia, una delle più belle che io abbia mai sentito; così ho chiesto di poter riceverne il testo che magari pubblicherò. Ho acquistato solo libri. Ho prodotto dei doni completamente ideati e confezionati da me, avendo iniziato ad ottobre, e sono quelli che più mi hanno dato soddisfazione e che regalo a persone speciali. Non speciali per me, innanzitutto speciali in sé. In giro per negozi? Zero. Mercatini e bancarelle? Nemmeno uno. Giretti a zonzo? No, non ho tempo e se me ne avanza faccio altro. La cena di Natale aziendale? Assolutamente no, troppa gente, troppo caos, troppo tutto. Alcuni mi dicono che bisogna esserci, si deve fare, ma varrà per loro. Insomma, ho sgombrato ormai dalla mia vita, anno dopo anno, dopo anno, tutto il superfluo, il consumismo, la patina di effimero. Cosa rimane, dunque? Ciò che è vero. Gli auguri sinceri con quelle persone che non escono dalla mia vita perché da me non vogliono nulla; i doni prodotti per loro – non oggetti qualunque ma qualcosa che sia di aiuto e di sostegno per le loro esistenze – un pranzo vegetariano (su questo scriverò a parte), preghiere, riflessioni, sguardi all’infinito. E’ tantissimo, anzi è tutto.
C’è una poetica del mattino. Recandomi a piedi alla stazione, lungo un percorso di un chilometro e mezzo, attraverso viali alberati e costeggio vasti prati. E incrocio persone osservandole con interesse. Alcune di loro, di buon’ora, escono per portare fuori il proprio cane. Vedo allora quell’uomo dall’aspetto un po’ burbero che attende amorevolmente che il suo piccolo cagnolino lo raggiunga, girandosi di tanto in tanto. C’è la donna anoressica con un minutissimo cane, anch’esso un po’ tale. Un’altra ha uno yorkshire tripode, che saltella con un’energia e un sorriso da cane stampato sul musetto. Mi fermo, con quella signora, e mi racconta che quel cane era destinato alla soppressione ma lei lo ha impedito e, dal profondo sud dove si trovava in vacanza, lo ha portato a vivere qui. All’andata, lui saltella da solo; al ritorno, lei lo porta in braccio per non farlo stancare troppo. Talvolta, queste persone con i cani si fermano e chiacchierano in gruppo; poche parole in attesa che i loro cani le raggiungano e si fiutino un po’. C’è una poetica in quei grandi prati, talvolta di erba alta, talvolta appena rasati, così come c’è una poetica nei lombrichi che escono sull’asfalto nelle giornate di pioggia; li scanso uno ad uno, e a volte mi fermo ad osservarne il movimento, o li salvo da morte certa raccogliendoli con un legnetto e posandoli sull’erba. C’è una poetica nei maestosi alberi che incrocio, fissi nel loro posto perenne; un giorno sono fioriti, un altro giorno sono verdissimi, e poi rosso fuoco, e ancora coi soli rami colmi di gelo. Li guardo sempre, saluto anche loro e mi accorgo di quanto tutto questo accompagni le mie giornate, le mie settimane, i mesi, gli anni. C’è una poetica nel giungere in stazione e guardarsi negli occhi. Non ci si conosce personalmente, ma ci si vede quasi sempre e, talvolta, ci si saluta con un cenno d’intesa. Sul treno, poi, c’è una poetica nell’alzare lo sguardo dal libro e guardare a volo d’uccello sulle teste di tutti: anime con la propria storia, ognuna impegnata nel cercare la stessa risposta. Invio i miei auguri di benevolenza a tutte loro, anche se urlano in treno, anche se spintonano o non ti lasciano sedere o leggere. Sono anime incerte, mi dico, e mi rimetto sul libro. C’è una poetica quando, giunta al lavoro dopo altri due mezzi, vedo volti noti da anni e scambio, non sempre, qualche parola. Si inseriscono anch’essi in un disegno generale, mi dico, e ci si continua ad incontrare giorno dopo giorno, ognuno parte della vita degli altri.