Certificazione etica

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Secondo molti allevatori di animali da pelliccia, fornitori di grandi marchi quali, ad es., Max Mara, Woolrich, Moncler e Loro Piana, gli animali sono trattati correttamente e le produzioni garantite da certificazioni etiche. Premesso che se io fossi la proprietaria di una di queste aziende volerei in Finlandia personalmente più volte per verificare di persona cosa venga fatto a quei poveri animali; premesso che l’ultima cosa che farei è di fidarmi di chiunque mi assicuri una qualunque cosa, evitando così di dover rilasciare dei comunicati stampa ipocriti in cui dire che ero all’oscuro di tutto (nel 2019, con tutta l’informazione circolante? Dunque sono anche cretini, oltre che assassini?). Premesso questo, la produzione etica di pellicce non può ovviamente esistere, è un ossimoro. Non si tratta di lana che può essere tosata, è pelo che viene strappato alle volpi, ai visoni, ai procioni dopo che li si è allevati contro la loro stessa natura per renderli oggetti ad uso, guarda un po’, dell’uomo. Nel servizio di Report andato in onda lunedì scorso e tutt’ora disponibile in rete, si sono mostrati i metodi di allevamento ed uccisione di quegli animali, compreso lo squoiamento di animali ancora vivi, che si rialzano sulle proprie zampe e guardano la telecamera cercando la pietà di chi li sta osservando. Una scena che farebbe star male chiunque.

E’ questo che vogliamo essere? E’ questo che vogliamo per noi, oltre che per gli altri? Siamo sicuri di non poterne fare a meno?

Sono pratiche violentissime che rendono noi stessi vittime, in quanto abbassa la nostra capacità di provare compassione rendendoci automi privi di coscienza.

In diversi paesi europei la produzione di pellicce è già stata vietata, mentre in Italia, benché l’85,5% dei cittadini sia favorevole al suo divieto, una proposta di Legge giace in Parlamento dove, evidentemente, non hanno tempo per occuparsi di questo.

Ci stiamo dando da fare, però, e sono certa che ci riusciremo. Nel frattempo, prima di comprare pellicce o capi con inserti, o oggetti, dovemmo avere il fegato di guardare negli occhi quel procione e poi di entrare in negozio e di sentirci più eleganti.

Leggere Thoreau

THOREAU

Avevo già letto Walden. Vita nel bosco, in cui Thoreau racconta, giorno per giorno, i due anni trascorsi in solitudine nel bosco, attraverso l’osservazione della natura, degli alberi, dei fenomeni atmosferici. Una bibbia ecologista. Mi era piaciuto già molto, perché vi avevo trovato quello spirito di riconnessione alla natura a me tanto caro, ad un vivere ancestrale. Anche lui, compreso più tardi ma non del tutto alla sua epoca, era scappato dalla civiltà che temeva, per ritrovare se stesso.

Ho poi letto altre sue opere e le pagine del suo diario, e subito ho sentito, in quelle parole, in quel preciso modo di cogliere le cose, di accorgersi del mistero della natura, di rapportarlo all’uomo, delle forti vibrazioni. Ho sentito che i suoi scritti erano per me, per quelli come me, che hanno un certo tipo di sensibilità romantica, che piangono per un albero abbattuto come per un animale ucciso, che parlano ad essi, li accarezzano, li ringraziano. Ho sentito che quel tipo di sensibilità è di pochi ma non di nessuno, e quei pochi vengono uniti da un legame indissolubile a dispetto delle epoche e delle reciproche esistenze. Non cerco, in una persona, un dato mestiere o una certa provenienza, non mi importa che macchina abbia o che abiti porti, mentre cerco questo tipo di sensibilità. Se la percepisco, quella persona entra nella mia vita e vi rimane. Un giorno scriverò sul sistema scuola, dal mio punto di vista da radere totalmente al suolo e da rifondare su altri presupposti, e Thoreau è uno di quegli autori che vi inserirei.

 

Da ‘I boschi del Maine

‘Strano che così poche persone vengano nei boschi a vedere come il pino vive e cresce sempre più in alto, sollevando le sue braccia sempreverdi alla luce – a vedere la sua perfetta riuscita; i più invece si accontentano di guardarlo sotto forma delle tante ampie tavole portate al mercato, e considerano quello il suo vero destino. Ma il pino non è legname più di quanto lo sia l’uomo, ed essere trasformato in assi e case non è il suo impiego autentico e più elevato, non più di quanto lo sia per l’uomo essere abbattuto e trasformato in letame. C’è una legge più alta che riguarda il nostro rapporto con i pini quanto quello con gli uomini. Un pino abbattuto, un pino morto, non è un pino più di quanto le spoglie di un defunto siano un uomo. Si può dire che colui che ha scoperto solo alcuni dei pregi dell’osso di balena e dell’olio di balena abbia scoperto il vero scopo della balena? O che colui che abbatte l’elefante per l’avorio abbia “visto l’elefante”? Questi sono utilizzi meschini e accidentali, proprio come se una razza più forte ci uccidesse allo scopo di fare bottoni e pifferi con le nostre ossa; perché ogni cosa può servire uno scopo più vile oltre che uno più elevato. Ogni creatura è migliore da viva che da morta, uomini e alci e alberi di pino, e colui che lo comprende appieno preferirà conservarne la vita che distruggerla.
E’ il boscaiolo, allora, a essere amico e amante del pino, a stargli più vicino di chiunque e a comprendere meglio la sua natura? E’ il conciatore che gli ha tolto la corteccia, o chi ne ha ricavato la trementina, a entrare nelle fiabe dei posteri come colui che alla fine venne tramutato in un pino? No! No! E’ il poeta; è colui che fa del pino l’uso più sincero, che non lo accarezza con un’ascia né lo solletica con una sega, che sa se il suo cuore è falso senza inciderlo, che non ha comprato la licenza di abbattimento dall’amministrazione cittadina. Tutti i pini rabbrividiscono ed emettono un sospiro quando quell’uomo mette piede nella foresta. No, è il poeta, che li ama come la propria ombra nell’aria e li lascia in piedi. Sono stato in segheria, e in falegnameria, e in conceria, e alla fabbrica di nerofumo e alla raccolta della trementina; ma quando da lontano ho visto le cime dei pini ondeggiare e riflettere la luce al di sopra del resto della foresta, mi sono reso conto che non è quello citato l’uso più elevato del pino. Non sono i suoi ossi o la sua pelle o il suo grasso che amo di più. E’ lo spirito vivente dell’albero, non lo spirito della trementina, con cui sono solidale e che guarisce i miei tagli. E’ immortale quanto lo sono io, e forse andrà altrettanto in alto in paradiso, dove ancora svetterà sopra di me’.

Diario, 24 gennaio 1856

‘Trovo che nella mia idea di villaggio l’olmo si è fatto più strada dell’essere umano. Hanno lo stesso valore di molte circoscrizioni elettorali. Costituiscono essi stessi una circoscrizione. Il povero rappresentante umano del suo partito, mandato fuori dalla loro ombra, non comunicherà la decima parte della dignità, dell’autentica nobiltà e ampiezza di vedute, della solidità e indipendenza e della serena benevolenza che essi comunicano. Guardano da una municipalità all’altra. Un frammento della loro corteccia vale la schiena di tutti i politici dell’Unione. In un loro ampio senso, sono antischiavisti. Mandano le loro radici a nord e a sud, a est e a ovest nel Kansas e nella Carolina in barba ai conservatori, che non sospettano tali ferrovie sotterranee; migliorano il sottosuolo che essi non hanno mai smosso, e per una distanza di molto superiore alla loro altezza, se sostenere i loro principi lo richiede. Combattono con le tempeste di un secolo. Guarda quante cicatrici portano, quanti arti hanno perduto prima che noi nascessimo! Eppure non si ritirano mai; votano con costanza per i loro principi, e mandano le loro radici sempre più lontano dal medesimo centro. Muoiono al posto loro assegnato, lasciando un fusto durissimo per chi lo taglierà, e un ceppo che funge da monumento. Non partecipano a nessun congresso, non scendono a compromessi, non hanno bisogno di una linea politica. L’unico principio che hanno è la crescita (…) Non si trasformano da radicali in conservatori, come gli uomini (…)

Costituzioni

MONTAGNE TIBET

Nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti (4 luglio 1776) vi è questo passaggio che desta grande attrazione:

‘Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governanti’. 

Chissà cosa intendevano per felicità; di certo non ciò che ne è poi scaturito, dato che la civiltà statunitense/anglosassone ha inteso raggiungere la felicità personale a discapito del pianeta intero. Nemmeno mi risulta sia una società particolarmente felice, tutt’altro. Ho curiosato un po’ di Costituzioni europee e non solo, notando come nelle altre non si parli di felicità o benessere, in linea di massima, ma di diritti. Come se, in qualche modo, la legge possa darci tutto ciò di cui abbiamo bisogno. La dignità e i pari diritti non sono sufficienti per rendere felice un popolo, ne’ può renderlo un’intera Costituzione. Non c’è Costituzione che non sostenga che gli uomini nascono e restano liberi (e non è vero), che hanno pari dignità (e non è vero), che il suo scopo è di tutelare i valori sommi della giustizia e dell’uguaglianza. Mai come in quest’epoca, invece, si assiste ad enormi disuguaglianze, sia all’interno del singolo Stato che tra Stati che hanno simili Costituzioni. Mentre le Costituzioni di altri Paesi esordiscono così, tutte similmente, la Recpubblica Italiana si fonda sul lavoro (Art. 1), ed io non ho mai compreso cosa significhi. In ogni caso, non desidero si fondi sul mio.

Se la Costituzione fosse una raccolta dei nostri valori, allora dovremmo smetterla, ad esempio,  di produrre ed esportare armi pesanti, visto che ‘L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta` degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (art. 11).’

Ipocrisia.

Poi ho letto la Costituzione del Tibet, nel cui articolo 1 si definisce il Dalai Lama “Protettore e Simbolo del Tibet e del popolo Tibetano”. L’articolo afferma che il Dalai Lama dovrà esprimere il proprio parere e dare il proprio sostegno in materia di protezione e promozione del benessere fisico, spirituale, etico e culturale del popolo tibetano.

E ancora, Articolo 7: Il futuro Tibet sarà una zona di pace e si sforzerà di sganciarsi dalla produzione di tutte le armi distruttive, comprese quelle nucleari e chimiche; e, attualmente, i tibetani in esilio si asterranno da ogni guerra come mezzo per raggiungere l’obiettivo comune del Tibet, o per qualsiasi altro scopo.

Di fronte a questa, le nostre appaiono ridicole, perché si muovono su un piano decisamente più basso. Tutte.

Ecco perché acquisterò la bandiera tibetana e la esporrò, perché è un popolo unico da me preso come modello e che intendo sostenere nella sua battaglia. E’ un popolo meraviglioso, che dovremmo tutti conoscere e imitare nei sentimenti e nell’umiltà, che lo pongono ad un piano più elevato, come dall’altezza di quelle montagne.

Karma

Mi è capitato in passato di subire dei torti e delle cattiverie e, presa dalla rabbia, avevo invocato le peggiori cose in direzione di chi me le aveva fatte. Ciò che era accaduto loro successivamente, era stato così immediato e così pesante che ho pensato di non doverlo più fare. Non volevo, in fondo, avere questo genere di responsabilità, soprattutto nello stabilire ‘cosa’ e ‘quanto’ dovesse accadere, forse non ero nemmeno certa di volerlo. Oggi, mi è capitato un episodio simile. Avevo avuto un gesto di preoccupazione verso una persona con la quale c’era un rapporto di amicizia, un gesto di considerazione e di attenzione motivato dalle più nobili intenzioni, e in tutta risposta questa persona mi ha inviato una risposta offensiva piena di rancore. Sono rimasta attonita e molto dispiaciuta. Fino ad alcuni anni fa, di fronte ad una tale risposta sarei entrata nell’apparecchio telefonico per uscire dall’altra parte e tirare due sberle a un tale essere. Lo avrei aggredito con tutta la mia dialettica per stenderlo mortalmente, me lo sarei mangiato vivo.  Ora no. Se c’è una cosa che ho imparato o sto imparando è che tutto questo non serve. Ciò che conta è l’intenzione che avevi; se sai di esserti comportata correttamente nell’episodio con quella persona, ma sei stata trattata così, avverrà presto qualcosa che metterà le cose a posto. Qualcuno legge nel tuo cuore e non puoi mentire. Nessuno può fare del male ad un altro gratuitamente, dovrà pagare un prezzo e verrà toccato proprio in ciò che gli darà più fastidio. L’ho visto capitare ormai a molti e avviene nel giro di poco tempo, direi sin dai primi giorni o mesi successivi. Se erano capetti che trattavano male le persone, cadranno dalla loro posizione e verranno trattati male da quello sopra. Se era una persona particolarmente attenta alla propria immagine sociale, otterrà che nessuno lo considererà più e verrà allontanato e ritenuto insignificante (non cito a caso, ma proprio ciò a cui ho assistito). E’ una forma di riequilibrio di forze che non può essere arrestato e che viene innescato proprio da loro, dalla loro cattiveria. Mentre si sentono forti, non sanno di aver premuto quel tasto che non andava premuto, e il processo si innesca. Basta tenerli d’occhio e li si vedrà cadere nel giro di poco, in ambito professionale come personale.

“Se è la sofferenza che temi, se è la sofferenza

ciò che detesti, non compiere mai azioni cattive,

perché tutto si vede per quanto segreto.

Persino un volo nell’aria non ti può liberare dalla sofferenza

dopo che l’azione cattiva è stata commessa.

Non nel cielo, né nel mezzo dell’oceano,

né se ti nascondessi nelle crepe delle montagne,

un angolo riusciresti a trovare in questa

terra tutta, dove il karma il colpevole non raggiungerebbe.

Ma se vedi il male che altri ti fanno

e se sentitamente tu disapprovi,

stai attento a non fare al medesimo modo,

perché le azioni delle persone con esse rimangono.

Quelli che imbrogliano negli affari,

quelli che contro il Dharma agiscono,

quelli che frodano, quelli che truffano,

se stessi gettano in un gorgo,

perché le azioni delle persone con esse rimangono.

Qualsivoglia azione possa un individuo

compiere,

siano esse di gioia portatrici, siano esse cattive,

un’eredità per lui costituiscono,

le azioni non svaniscono senza lasciar traccia. (…)

Un’azione cattiva non necessariamente causa subito a chi l’ha compiuta

un qualche guaio.

Essa nascostamente allo stolto superficiale

si accompagna,

proprio come un fuoco che giace sotto la cenere.

Proprio come una lama appena forgiata,

l’azione cattiva nell’immediato non provoca alcuna ferita.

Proprio il ferro produce la ruggine

che lentamente di certo lo consumerà.

Colui che il male compie,

dalle sue stesse azioni è portato

a una vita di sofferenza”.

Dharmapada

Telepatia

TELEPATIAUltimamente gli episodi sono aumentati in maniera esponenziale: penso a un’amica e lei, simultaneamente, mi chiama o mi invia un messaggio. Penso ad un collega, e questo mi scrive. Nomino un tizio e questo appare all’improvviso. Pianifico di chiamare per una data cosa, e il tipo della data cosa non mi permette nemmeno di fare il numero. Cinque-sei volte al giorno. Potrei stare ferma incrociando le braccia e limitandomi a pensare intensamente per far accadere un po’ questo e un po’ quello. Forse potrei farne un mestiere. Bello, da una parte, ma anche sconcertante, in quanto le apparizioni di chiamate, mail, sms, persone, fatti, collegamenti, avvengono simultaneamente. Non mi importa a quali conclusioni sia giunta la scienza, in quanto la scienza si muove nel noto, non nell’ignoto. Sto quindi studiando il fenomeno sul piano esperienziale e una cosa l’ho capita: il pensiero deve essere vero, non simulato. Il collegamento attraverso questa rete avviene solo ad una certa frequenza di pensiero, ovvero quando si sta pensando con un certo grado di interesse, di intenzione. E’ un pensare attivo e potente che evidentemente, per chi ne ha un po’ le facoltà, fa partire un messaggio che viene recapitato all’altro e gli fa ritenere di essere lui a pensare a me. Avviene una connessione e lui funge da ricevitore. C’è solo una persona che non mi chiama, benché la stia pensando intensamente da giorni e giorni, ma so che non vuole chiamarmi, quindi la sua intenzione è contraria alla mia. Però, mentre ci penso stando in piedi nel treno delle sardine del mattino, la sardina di fianco a me apre un’agenda che riporta una serie di cognomi e orari, come di appuntamenti, io sbircio sulla pagina e il primo cognome che appare è quello di questa persona. A casa, accendo la televisione e il cognome del tipo che parla è lo stesso, oppure appaiono una serie di persone-ponte con questa persona. Un po’ come se fosse questa persona a pensarmi, ma al tempo stesso a non volersi rivelare direttamente. Non so che fare, in questi casi, intanto potenzio il segnale e ci riprovo. Vedremo.  

Progresso

Allora: c’è questo tizio che va in giro per tutt’Italia a parlare di progresso. Ha un sito, ovviamente, dove lui appare in posa, abbronzatino, pettinatino, come un bravo scolaretto coach.

Inutile dire che per progresso lui intenda esclusivamente il progresso dell’uomo, neanche da chiedercelo; la sua idea sta tutta nell’intelligenza artificiale che, dal suo punto di vista, dovrebbe impiantare la nostra. Peccato che sia pensata da noi, ovvero dall’uomo che non è l’essere più intelligente del Pianeta e neanche il più bravo nel processo evolutivo, anzi su questo è l’ultimo in ordine. Questo tizio abbronzatino forse non lo sa, e purtroppo non lo sanno nemmeno tutti quelli che vanno ad ascoltarlo, altrimenti lo seppellirebbero di pomodori. Parla poi di tecnologia. Noi pensiamo sempre che la tecnologia risolverà dei problemi; in realtà, noi creiamo i problemi e poi inventiamo una tecnologia che risolva i problemi da noi stessi creati. Questa è stupidità, non intelligenza, e di certo non è progresso. Ci sono molti studi che attestano come l’intelligenza dell’uomo stia progressivamente diminuendo, ne hanno parlato anche in una recente puntata di Presa Diretta. L’abbronzatino non lo sa perché non ha come scopo quello di effettuare un reale approfondimento, ma piuttosto quello di mettere in mostra il suo ego (abbronzato).

Parla ovviamente di telefonia, inneggiando a tutte le nuove aggiunte dell’ultimo modello, annunciandole come lo scoop del secolo: doppia camera, riconoscimento del volto, display olografici, ecc. Si esalta, il tizio, perchè anche solo parlandone ha delle esperienze extracorporee in uno stato di trance.

L’abbronzatino in posa conosce l’intelligenza delle piante? Conosce i cicli evolutivi del pianeta e quali misteri vi sono ancora celati? E’ in grado di dirci dove sta andando non la telefonia (che dal mio punto di vista dovrebbe scomparire dalla faccia della terra insieme a tutti gli abbronzatini) ma l’Umanità intera? Che domande è abituato a farsi? E che domande si fanno quelli che vanno pure ad ascoltarlo?

L’ho sentito una volta al telefono, questo tizio. Può darsi che ci incontreremo e, se sarà così, intendo scardinargli completamente l’intero suo pensiero. Queste persone diffondono stupidità.

Planet Pride

Ho sempre considerato l’omosessualità una non-questione, poiché sarebbe per me come dover parlare dell’eterosessualità in quanto tale. Cosa ci sarebbe da dire? Ho già scritto un post sulla tolleranza illustrando come, tutto ciò che esiste in natura, è implicitamente accettato dalla natura stessa e non sta a nessun altro accettare o tollerare, vocaboli che creano un rapporto di forza dell’uno verso l’altro. Dunque, qui potrei ritenere chiuso il discorso.

In realtà, la questione è molto più sottile, in quanto non ha a che vedere con la natura di una creatura ma col forte condizionamento sociale e culturale prodotto all’interno della famiglia e della società. Stabilito che l’omosessualità è qualcosa di anormale, ecco che il gregge vi si muove collettivamente contro.

Qualche settimana fa, un amico mi ha donato il dvd ‘2 Volte Genitori’, dell’Associazione Agedo. L’ho visto per 4 volte ininterrottamente rimanendo affascinata dalla narrazione. Vi sono alcuni genitori che raccontano la propria storia a partire dalla scoperta di avere un figlio o una figlia omosessuale; poi, l’elaborazione del dramma personale e familiare fino al raggiungimento di una maggiore conoscenza e consapevolezza. Una sorta di morte e rinascita. Ora, credo che i genitori si dividano in tre categorie, riguardo alla questione: quelli che cadono nel dramma toccando il fondo e rialzandosi, come nel caso dei genitori del dvd; quelli che non accetterebbero mai e, dunque, fanno ammalare i propri figli col proprio rancore e quelli (qui mi ci metto io) che non si pongono il problema. Un figlio sia ciò che deve essere e, soprattutto, non sia considerato qualcosa di nostro perché non è affatto così. Un figlio, come un parente, come un conoscente o uno sconosciuto è altro rispetto a noi. Non mi sembra difficile da capire.

Mentre guardavo e riguardavo il filmato, alcuni passaggi mi hanno colpita particolarmente. Ad un certo punto della vicenda di questi genitori avveniva sempre un momento di sconcerto quando si chiedevano cosa gli altri avrebbero detto di loro e del loro figlio (i parenti, i vicini di casa, gli amici, i colleghi). Il loro terrore era nel non sapere come porsi, come spiegare e come apparire nei confronti degli altri, di essere additati. Ecco la gabbia: gli altri. Gli stramaledetti altri. Ne erano terrorizzati. Col tempo, ciò che è accaduto è stato un miracolo: in questi genitori iniziava a scomparire il timore del giudizio altrui. Ed ecco che quella che inizialmente sembrava una disgrazia, era in realtà una grande opportunità di liberazione, di affrancamento, di evoluzione personale. Io ho grande fiducia nell’uomo, inteso come creazione. Ho fiducia nel singolo uomo che, se preso ed estirpato dal branco, è sempre in grado di comprendere un ragionamento ben argomentato qualunque esso sia, basandosi sulla propria sensibilità e intuizione. Non ho, invece, alcuna fiducia nella massa ed è lì che si colloca la matrice delle intolleranze. Questo perché il pensiero collettivo, da cui sono sempre fuggita a gambe levate, per mantenersi collettivo ha bisogno di livellarsi sul grado dei più bassi. E’ una legge dimostrata.

Così, tramite il proprio percorso elaborativo, questi genitori attraversavano una frattura con se stessi e il proprio modo di pensare, che altro non era se non esattamente quello dei loro genitori. Attraverso questa esperienza, essi interrompono la trasmissione automatica del pensiero verso la generazione successiva, creando una svolta. C’è una funzionalità in tutto questo. Trovano una forza che non pensavano di avere, il coraggio di pensare diversamente. Una rinascita molto potente. Diventano una specie di cellule madri che si innestano nella società e svolgono un nuovo ruolo.

La cosa che trovo più interessante è, come sempre, il percorso. Credo molto nei percorsi salvifici, che ci trasformano e ci portano ad un altro stadio di evoluzione. Quindi, gli aspetti legati ai diritti gay e alle diverse battaglie sono da un certo punto di vista secondo me marginali. Ciò che conta veramente è la trasformazione del pensiero, il salto in avanti, la liberazione interiore. D’altra parte, qualunque forma di intolleranza verso la categorizzazione del prossimo ha un’unica matrice. Quindi, proporrei di superare l’epoca dei Gay Pride e di partire con gli Human Pride. Essere orgogliosi di ciò che si è. Un Pride in cui tutti sfilino senza etichette, classificazioni, in cui semplicemente essere ciò che si è o si sente di essere. E poi un Planet Pride. Penso sia arrivato il momento e, anzi, penso che lo proporrò.

Alda

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Alda Merini, classe 1931. Anni fa avevo visto una sua intervista; nella sua casa di Milano, sui Navigli, raccontava la sua vita, i suoi amori per uomini che non l’avevano amata, la sua solitudine, la sua depressione. Fumava una sigaretta dietro l’altra e le spegneva buttandole a terra, sul pavimento della cucina come fosse l’asfalto all’aperto, schiacciandole e lasciandole lì. Mi avevano colpito proprio quei gesti e mi buttai nelle sue poesie. Magnifiche, colme di dolore, di disillusione, di malinconia. La amo tanto, come amo tanto tutti coloro che soffrono, ne riconosco i segni, ne riconosco le vibrazioni. Ci riconosciamo.

Scelgo di farle onore con queste due sue poesie. Donna grande, come vorrei che tutte le donne fossero. Le vere donne, intendo, non le altre. Alda Merini era una vera donna, ecco. Le persone che soffrono o hanno sofferto hanno una marcia in più, l’ho sempre pensato.

 

‘Mi sento un po’ come il mare: abbastanza calma per intraprendere nuovi rapporti umani ma periodicamente in tempesta per allontanare tutti, per starmene da sola.

Ogni giorno cerco il filo della ragione, ma il filo non esiste o mi ci sono aggrovigliata dentro.

Due cose portano alla follia: l’amore e la sua mancanza

Non mettermi accanto a chi si lamenta senza mai alzare lo sguardo, a chi non sa dire grazie, a chi non sa accorgersi più di un tramonto. Chiudo gli occhi, mi scosto un passo. Sono altro. Sono altrove.

Quelle come me sono quelle che, nell’autunno della tua vita, rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti e che tu non hai voluto.

A volte l’anima muore e muore di fronte a un dolore, a una mancanza d’amore e soprattutto quando viene sospettata d’inganno.’

 

‘Mi piace il verbo sentire…
Sentire il rumore del mare,
sentirne l’odore.
Sentire il suono della pioggia che ti bagna le labbra,
sentire una penna che traccia sentimenti su un foglio bianco.
Sentire l’odore di chi ami,
sentirne la voce
e sentirlo col cuore.
Sentire è il verbo delle emozioni,
ci si sdraia sulla schiena del mondo
e si sente…’