Alda Merini, classe 1931. Anni fa avevo visto una sua intervista; nella sua casa di Milano, sui Navigli, raccontava la sua vita, i suoi amori per uomini che non l’avevano amata, la sua solitudine, la sua depressione. Fumava una sigaretta dietro l’altra e le spegneva buttandole a terra, sul pavimento della cucina come fosse l’asfalto all’aperto, schiacciandole e lasciandole lì. Mi avevano colpito proprio quei gesti e mi buttai nelle sue poesie. Magnifiche, colme di dolore, di disillusione, di malinconia. La amo tanto, come amo tanto tutti coloro che soffrono, ne riconosco i segni, ne riconosco le vibrazioni. Ci riconosciamo.
Scelgo di farle onore con queste due sue poesie. Donna grande, come vorrei che tutte le donne fossero. Le vere donne, intendo, non le altre. Alda Merini era una vera donna, ecco. Le persone che soffrono o hanno sofferto hanno una marcia in più, l’ho sempre pensato.
‘Mi sento un po’ come il mare: abbastanza calma per intraprendere nuovi rapporti umani ma periodicamente in tempesta per allontanare tutti, per starmene da sola.
Ogni giorno cerco il filo della ragione, ma il filo non esiste o mi ci sono aggrovigliata dentro.
Due cose portano alla follia: l’amore e la sua mancanza
Non mettermi accanto a chi si lamenta senza mai alzare lo sguardo, a chi non sa dire grazie, a chi non sa accorgersi più di un tramonto. Chiudo gli occhi, mi scosto un passo. Sono altro. Sono altrove.
Quelle come me sono quelle che, nell’autunno della tua vita, rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti e che tu non hai voluto.
A volte l’anima muore e muore di fronte a un dolore, a una mancanza d’amore e soprattutto quando viene sospettata d’inganno.’