Dice un detto: ‘A volte, il treno sbagliato porta alla stazione giusta’. Talvolta, infatti, se pensiamo che determinate vicende non stiano andando per come vorremmo, vi ci accaniamo sopra pensando che esse ci stiano portando ad un motivo di dispiacere. Avviene questo quando pensiamo di essere i soli padroni di noi stessi, quando riteniamo di avere, nelle nostre sole mani, la totalità della nostra esistenza. Di volerla guidare come si guiderebbe un’auto. Qualcosa, certo si può e si deve fare, e passa attraverso le nostre scelte e il nostro intelletto (non dico le emozioni, poiché quelle, al contrario, non permettono all’intelletto di funzionare al suo massimo).
Ma ciò a cui mi riferisco sta da un’altra parte, ed è quella possibilità che ciò che ci accade faccia da ponte verso altro, un disegno molto più grande. E’ come se ci trovassimo a camminare su una strada, e mentre camminiamo seguissimo le strisce bianche pensando che esse ci diano l’unica direzione sensata. Ma se alziamo lo sguardo, potremmo allora vedere che quella piccola strada altro non è che il profilo di una figura disegnata con un preciso significato, che è per noi. Allora, se potessimo vedere subito quella figura, comprenderemmo come le strisce bianche non rappresentino nulla di definitivo ma solo un mezzo per farci procedere. E non è affatto necessario vedere l’intera figura sin da principio, basta sapere che c’è e che si manifesterà a tempo debito. E’ sufficiente proseguire, andare avanti accettando gli ostacoli come funzionali al nostro cammino, perché qualcosa di grande sta per accadere. Bisogna, questo si, essere pronti. Un disegno c’è sempre, e talvolta è proprio per aver preso quel treno sbagliato che siamo giunti lì, dove eravamo attesi da tempo. Quel treno, che pensavamo fosse una vera tragedia, era la mano che ci stava cercando.
Chiudo con un bel racconto.
C’era una volta un contadino cinese, era molto povero e per vivere lavorava duramente la terra con l’aiuto di suo figlio, ma possedeva il grande dono della saggezza.
Un giorno il figlio gli disse:
– Padre che disgrazia, il nostro cavallo è scappato dalla stalla!
– Perché la chiami disgrazia? – rispose il padre – Aspettiamo e vediamo cosa succederà nel tempo!
Qualche giorno dopo, il cavallo ritornò portando con sé una mandria di cavalli selvatici.
– Padre che fortuna! – esclamò questa volta il ragazzo – Il nostro cavallo ci ha portato una mandria di cavalli selvatici.
– Perché la chiami fortuna! – rispose il padre – Aspettiamo e vediamo cosa succederà nel tempo.
Ancora qualche giorno dopo, il giovane, nel tentativo di addomesticare uno dei cavalli, venne disarcionato e cadde al suolo fratturandosi una gamba.
– Padre che disgrazia, mi sono fratturato una gamba!
Ma anche questa volta il saggio padre sentenziò:
– Perché la chiami disgrazia? Aspettiamo e vediamo cosa succede nel tempo.
Ma il ragazzo, per nulla convinto delle sagge parole del padre, continuava a lamentarsi nel suo letto.
Qualche tempo dopo, passarono per il villaggio gli inviati del re con il compito di reclutare i giovani da inviare in guerra.
Anche la casa del vecchio contadino venne visitata dai soldati reali, ma quando trovarono il giovane a letto, con la gamba immobilizzata, lo lasciarono stare per proseguire il loro cammino.
Qualche tempo dopo scoppiò la guerra e molti giovani morirono sul campo di battaglia; il giovane si salvò a causa della sua gamba fratturata.