All’Autunno

Tempo di nebbie e d’ubertà matura,
Dell’almo sole amico prediletto;
Tu che, seco, la vite ti dai cura
Di far felice d’uve, intorno al tetto,
E di pomi i muscosi alberi adorni,
Gonfi la zucca, e alle nocciuòle un sapido
Gheriglio infondi, e i frutti empi di nettare,
E ancor fai gemme, ultimi fior per l’api,
Ond’esse credon che coi caldi giorni
Sopra la terra Estate ognor soggiorni,
Per cui trabocca ogni umida celletta:

Chi non ti ha visto tra le tue ricchezze?
Talor chi cerca scopre te: sei colco
Su un’aia, pigro, ventilanti brezze
Fra i tuoi crini asolando; o presso un solco
Mezzo-mietuto, mentre il tuo falcetto
Lascia di tagliar l’erba e i fiori attorti,
T’infondono i papaveri il sopore;
O, attraversando un rivo, il capo eretto,
Come spigolatrice, a volte porti;
O, ad un torchio di sidro, gli occhi assorti
Tu fissi al gemitio per ore ed ore.

Dove son, dove i cantici di Maggio?
Non pensarvi, hai tu pur tua melodia:
Quando, affocando il dì che muor, d’un raggio
Roseo le stoppie opaca nube stria,
Un coro di zanzare si querela
Tra i salci fluviali, in basso o in suso
Spinte, secondo il vento cada o aneli,
E dai borri gli agnelli adulti belano,
Cantano i grilli, ed un gorgheggio effuso
Fa il pettirosso da un giardino chiuso,
Rondini a stormi stridono pei cieli.

(Traduzione di Mario Praz)

Con questo bellissimo componimento, il grande poeta romantico inglese John Keats (1795 – 1821) descrive piccole oggettività autunnali. Questa ciclicità stagionale, che chiude con i mesi freddi, è la ruota della vita stessa; della sua vita, dato che il poeta è gravemente ammalato e consapevole di trovarsi nell’autunno della propria esistenza ancora giovanissimo. Accettata pienamente la sorte, egli non vi si ribella ma si culla nella mera descrizione di ciò che la vita offre, ove l’esistenza di ciascuno ha un profondo significato per sé e per gli altri in un universo pullulante di senso. Ogni autunno, la natura è generosa di eventi gravi e lievi, taluni impercettibili eppure importanti; talvolta, essi sembrano non lasciare traccia alcuna se non accorgendoci noi stessi della loro profondità e del loro senso. La memoria di ciò che è già accaduto ci accompagna nell’osservare ciò che accade, in una ripetizione costante ed infinita. Così, ognuno è al proprio posto nel gioco della vita, come Keats lo è in quel momento. Questo flusso continuo si smorza col calare della luce, con l’avvento del freddo, con la morte stessa. Eppure il ritorno è certo: il chiarore e il tepore accompagneranno la nostra ricomparsa che si manifesterà con certezza e come sempre accaduto, come rondini a Primavera in un ciclo infinito.

In una soffitta

Erano trascorse solo due settimane da quel 23 settembre, data in cui Missy se ne era andata, quando – un primo pomeriggio – avevo sentito un forte e disperato richiamo. Mi ero recata a trovare proprio Missy e da quel punto del prato il richiamo si faceva ancora più forte e insistente. Ho capito che si trattava di un micetto, qui ci sono molti gatti e un gran numero di nuove nascite, e che le urla venivano dall’alto. Così, sono rientrata in casa e ho salito le scale fino all’ultimo piano e da qui ho raggiunto la soffitta. Questo luogo ha infatti delle aperture da cui le future mamme si infilano per dare alla luce i loro piccoli. I miagolii struggenti mi hanno guidata fino a trovare, tra vecchie gerle e cassette di frutta, un piccolo micino totalmente solo. Era infreddolito, affamato e sul bordo di un’apertura che lo avrebbe inghiottito nel vuoto. L’ho preso, gli ho dato un po’ di latte tiepido con una siringa e poi, lasciandolo ancora affamato perché quel latte non era di consistenza sufficiente, siamo andati a procurarci il latte apposito e il biberon con cui lo avremmo nutrito nei giorni a venire. Il micetto aveva appena aperto gli occhi, ancora velati, e non doveva avere più di 10-12 giorni. Nei giorni seguenti, tenendolo al caldo e rigorosamente attaccato a me, e nutrito in continuazione ogni due ore, si è stabilizzato nel peso e nei ritmi ed ha cominciato le sue profonde dormite. Si è poi scoperto che il micino è in realtà una micina che ho chiamato Mia, secondo la mia tradizione che vuole gatte femmine con nomi che cominciano per Emme (Melissa, Minnie, Missy, Mia). Non ero, a dire il vero, in cerca di un nuovo gattino da allevare. In molti me ne avevano offerti ma preferivo cullarmi nel ricordo di Missy. E, inoltre, un compagno di vita non deve essere né acquistato né ‘dato’. Semplicemente, deve comparire sulla tua strada, in questo caso nella mia stessa casa.

La cosa più sorprendente, un vero miracolo, è l’imprinting. Mia ha iniziato a vedere il mio viso non appena ha cominciato a distinguere qualcosa, e per lei dovevo essere senz’ombra di dubbi la sua mamma. Da me trovava nutrimento, da me il calore, con me dormiva, con me giocava. Dunque, non c’erano dubbi su chi fossi. Ha da subito memorizzato la mia voce, e se in una stanza mi sente parlare, il suo capino si gira solo verso di me. La osservo moltissimo e ho notato che i suoi occhietti cercano i miei. Se giro il volto da un’altra parte, lei viene a cercare il mio sguardo. E’ commovente. Le canto delle ninne nanne e si tranquillizza all’istante, ed è come avere un bambino che sta in una sola mano.

Ora Mia sta crescendo e ha compiuto un mese. Ho cominciato a farle assaggiare una prima pappa che succhia avidamente come farebbe col biberon, non sapendo ancora mangiare pienamente. Da un giorno all’altro le sono spuntati i dentini minuscoli, da un giorno all’altro ha cominciato a camminare e poi a correre goffamente. Spesso mi sembra che rida, ed io rido con lei. Le ho già raccontato di me, l’ho portata a fare visita a Minnie e a Missy nel piccolo luogo della loro sepoltura, le ho spiegato che loro sono state grandi amiche. Crescerò Mia in casa per tutto l’inverno. Poi, in primavera, giocherà fuori e comincerà per lei una nuova avventura tra prati, boschi e altri animali con cui accompagnarsi e da cui apprendere le malizie della vita. Benvenuta Mia, cuore di mamma!