Mese: novembre 2019
Strage
Il più grande massacro di animali selvatici del pianeta è rappresentato dalla caccia commerciale dei canguri. Nessuno ne parla e, dunque, io ne parlo. Forse non ci è arrivata come invece ci arrivano altre notizie, quelle notizie su cui tutti scattano ad indignarsi sulla paginetta di Facebook, condividendo frasette di circostanza per poi dimenticarsene un nanosecondo dopo e continuare la propria vita in attesa di un’altra notizia, come l’acqua alta a Venezia che ha messo a dura prova quella città e quelle opere che, in ogni caso, se sparissero non comporterebbe alcun danno ai molti del mohito, non siamo ipocriti. Verrebbe raso al suolo tutto per concepire un’enorme piscina, già me la vedo.
La caccia ai canguri, dicevo, è finalizzata in piccola parte ad ottenere la loro carne, poco utilizzata in occidente, e in enorme parte per le loro pelli. Il canguro, peraltro, ha iniziato ad essere considerato un antagonista delle greggi di pecore australiane, con le quali condivide gli stessi pascoli, sin dal 1800. Fu allora che le pecore furono portate in Australia, mentre i canguri vi vivevano da milioni di anni. Eccolo, l’uomo che non si smentisce mai: colonizza come vuole e stermina chi era già lì. L’importante è commerciare una qualsiasi cosa, l’importante è il denaro a qualunque costo.
Si stima che ogni anno muoiano circa 200.000 cuccioli deambulanti e 500.000 cuccioli ancora nel marsupio. La morte avviene tramite colpi di bastoni alla testa o per fame, dopo che le loro madri sono state esse stesse uccise. E’ quindi una modalità che ricorda la cruenta caccia alle foche canadese, nei confronti della quale però il mondo si era fatto un po’ sentire. Qua nulla.
Le specie cacciabili sono: Macropus rufus (Canguro Rosso), Macropus Giganteus (Canguro Grigio Orientale), Macropus fuliginosus (Canguro Grigio Occidentale) e Macropus robustus (Wallaroo Comune o Euro).
Proviamo ora a indovinare qual è il principale paese europeo importatore di pelli di canguro. Esatto: l’Italia.
Attraverso la sua ‘eccellenza’, perché evidentemente l’eccellenza se ne infischia delle stragi, importa pelli di canguro da utilizzarsi soprattutto in ambito sportivo o nell’abbigliamento di fascia medio-alta. Abbiamo così una strage di animali selvatici per contribuire ad ampliare il prodotto in ambito calcistico (scarpe) e motociclistico (tute) che, onestamente parlando, rendono le persone dei perfetti idioti. Non c’è nemmeno, quindi, un equilibrio tra il sacrificio richiesto e ciò che vi si ottiene. Neanche a dirlo, tutte le aziende contattate per far sapere cosa ci sia dietro a questo commercio, non erano assolutamente a conoscenza della violenza perpetrata. Forse, quei geni che noi consideriamo tali perché tengono in piedi delle aziende che ci danno la grande opportunità di vivere di immagine, e per questo non finiremo mai per ringraziarli, sono convinti che i canguri desiderino cedere spontaneamente la propria pelle, o che questa sia coltivata in un campo.
Doppiamente idioti, quindi, sia perché la loro ignoranza è un problema serio per l’umanità intera, sia perché dalle loro menti non potranno che restituire un prodotto di utilità pari a zero. Queste aziende si limitano a constatare, sempre che lo facciano, che quanto importato sia a norma di legge. Non hanno quindi una coscienza e vogliono che nemmeno il consumatore ce l’abbia.
Quali sono queste aziende illuminate?
Settore sportivo:
Calcio: Diadora, Lotto, Pantofola D’oro, Danese
Motociclismo: Dainese, Ducati, Gimoto, Alpinestars, Vircos
Settore abbigliamento:
Versace, Ferragamo, Prada (questa non manca mai)
Settore calzaturiero:
Moreschi, Moma, Fabi
Che dire, quindi? E’ questo che vogliamo essere, dei meri consumatori ingozzati di merce che pagano il prodotto tre volte, per l’oggetto in sé, per la strage compiuta al creato, per la presa in giro che ci rifilano?
Ognuno tragga le proprie conclusioni.
Little House on the Prairie
Alcuni anni fa avevo acquistato l’intera serie de ‘La casa nella Prateria’ nonché letto i bellissimi libri della vera Laura Ingalls Wilder. Non ho mai smesso di adorare questa serie che tutt’ora viene trasmessa e seguita da molti devoti; così, in questi giorni ne ho fatto una full immersion e ho ricompreso, come tutte le volte, il perché io la ami così tanto e perché apra così il cuore. In quel piccolo villaggio della prateria, accade tutto ciò che vediamo accadere attorno a noi, giorno dopo giorno. Ma è la risposta, ad essere un’altra. Sarà forse perché, sempre meno, riscontro i valori presenti in quei telefilm, i valori dei nostri genitori. Si era tra la metà e la fine degli anni ’70, e nelle nostre famiglie quel codice era ancora molto presente. E con questi episodi, si intendeva contribuire a moralizzare il popolo che chiedeva conferma di come dovesse comportarsi, e di cosa fosse importante. Molte delle tematiche affrontate sono incredibilmente attuali: nei casi di accanimento verso un debole, un uomo di colore, un ragazzo sordo, una donna grassa, i protagonisti ne prendono le difese e danno lezioni al paese. Non c’è spazio per tradimento e slealtà, neppure a scuola; non c’è spazio per superficialità e pressapochismo. La vita è una cosa seria, gli altri sono una cosa seria, il lavoro anche, la famiglia pure come gli amici. Gli approfittatori ricevono una dura lezione, come gli egocentrici; coloro che non hanno a cuore il bene della comunità anche. In quel piccolo villaggio, tutti si ammazzano di fatica dalla mattina alla sera ma trovano sempre il modo e il tempo di lavorare anche per chi non riesca. Il denaro occorre solo per il necessario, ma non compra i sentimenti. Gli uomini non scrivono atti giuridici ma si danno la parola e la manterranno costi quel che costi. In quel piccolo villaggio, la codardia non è ammessa e ognuno è chiamato a prendersi la responsabilità delle proprie azioni. I meno benestanti non provano invidia (mentre i più benestanti si), il rispetto è la prima cosa. A nessuno verrebbe in mente di fregare il prossimo per trarne beneficio personale; se lo fa, lo svolgimento della storia lo vedrà pagare un prezzo più alto, redimersi e tornare ad essere una buona persona. Il perdono è comunque concesso a tutti, come le spiegazioni sincere e la comprensione. Accadono molte disgrazie, in quelle famiglie, ma si va avanti sapendo che si è nelle mani di un Dio benevolente. Quel Dio che tutti pregano prima di ogni pasto, per rendere grazie di ciò che hanno sulla tavola. E se una grandinata rovina il raccolto e spinge le famiglie in una ancor più dura realtà, esse sanno che un solo raccolto, nella loro vita, è poca cosa. Ce ne saranno altri.
Da vedere e da leggere.
15 ottobre 1978
Sono trascorsi 41 anni, ma c’è così tanta strada da fare…
Novembre
Alcune magnifiche poesie autunnali e del mese di novembre, forse il mio mese preferito (forse).
San Martino, di G. Carducci
La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor dei vini
l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.
Autunno, di C. E. Gadda
Tàcite imagini della tristezza
Dal plàtano al prato!
Quando la bruma si dissolve nel monte
E un pensiero carezza
E poi lascia desolato – la marmorea fronte;
Quando la torre, e il rattoppato maniero,
Non chiede, al vecchio architetto, più nulla:
Allora il feudo intero – fruttifica una susina
Bisestile, alla collina
Dolce e brulla.
Tace, dal canto, il prato.
Il pianoforte della marchesina
Al tocco magico delle sue dita
S’è addormentato:
E dopo sua dipartita – l’autunno
S’è scelto un nuovo alunno:
Il passero!, lingua di portinaia
Dal gelso all’aia:
E il cancello e lo stemma sormonta
La nenia del campanile – e racconta
I ritorni, all’aurata foresta:
Garibaldeggia per festa
Sopra il travaglio gentile
Perché alla bella il ragazzo piaccia,
Quello che lassù canta, quello che lassù pesta.
Il vecchio marchese ha inscenato una caccia
Con quindici veltri, e galoppa,
Diplomatico sconsolato
Sul suo nove anni reumatizzato.
Della volpe nessuna notizia, nessuna traccia!
Il cavallo ha un nome inglese: e il corno sfiatato
Assorda nella tana il ghiro
Che una nocciòla impingua!
Al docicesimo giro
La muta s’è messa un palmo di lingua
E, mòbile macchia, cicloneggia bianca
Nella deserta brughiera
Là, verso il passaggio a livello,
Dove arriva stanca,
Salendo, la vaporiera.
Passa il merci e il frenatore – più bello,
Lungo fragore! – vana bandiera!
Ha incantato la cantoniera.
Ecco il diretto galoppa – verso città lontane
E il cavallo inglese intoppa
Negli sterpi dannati e calpesta
I formicai vuoti e le tane.
Ma dal campanile canta l’ora di festa – canta
Tristezze vane!
Autunno, di G. Apollinaire
Passano nella nebbia un contadino storto
e il suo bue,
lentamente, nella nebbia d’autunno
che nasconde i tuguri poveri e vergognosi.
E, mentre s’allontana, il contadino canta
una canzone triste dell’amore infedele,
che parla di un anello e d’un cuore spezzato.
Oh, l’autunno,
l’autunno ha sepolto l’estate!
Passano nella nebbia due figurine grigie.
Pensiero D’Autunno, di A. Negri
Fammi uguale, Signore, a quelle foglie
moribonde che vedo oggi nel sole
tremar dell’olmo sul più alto ramo.
Tremano sì, ma non di pena: è tanto
limpido il sole e dolce il distaccarsi
dal ramo, per congiungersi sulla terra.
S’accendono alla luce ultima, cuori
pronti all’offerta; e l’angoscia, per esse,
ha la clemenza d’una mite aurora.
Fa’ ch’io mi stacchi dal più alto ramo
di mia vita, così, senza lamento,
penetrata di Te come del sole.