Migrazioni

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L’umanità dovrebbe guardare un albero come ad un essere inserito in rete con l’intero creato, o ad una foresta come ad una popolazione a tutti gli effetti.

Gli alberi non camminano; crescono là dove la piccola pianta ha messo radici e in quel punto vi resteranno per pochi o centinaia di anni. Eppure, anch’essi hanno necessità di spostarsi rispetto al proprio territorio e trovano aiuto, in questo, nella tipologia di semi che generano, che possono ad esempio essere trasportati dal vento o dagli animali.

Perché è necessario migrare?

Perché il clima cambia in continuazione. Tale cambiamento, avviene con tempi molto lunghi che, però, coincidono con i tempi lunghi della vita degli alberi. Sono rimasta stupita e affascinata nel leggere che in questi nostri tempi è tutt’ora in corso una migrazione dei nostri boschi. La causa principale è il passaggio dall’ultima glaciazione ad un periodo interglaciale e, molte specie, devono spostarsi verso sud. Tale spostamento (e ricordo che parliamo di intere specie che migrano) necessita parecchie generazioni. Ad esempio, tre milioni di anni fa in Europa era presente il faggio e una seconda specie a foglia larga. Ma mentre il faggio è riuscito a valicare le Alpi e a conquistare l’Europa del Sud, la specie a foglia larga si è totalmente estinta dalle nostre foreste. Una delle cause erano state le Alpi, che in quanto barriera naturale bloccano la via di fuga agli alberi. Per poterle superare, gli alberi dovrebbero riuscire, di generazione in generazione, ad insediarsi ad alta quota, per poi tornare di nuovo a valle. Il nostro faggio è riuscito a valicare clandestinamente le Alpi e a sopravvivere. Ancora oggi, il faggio sta avanzando verso nord, in direzione dello scioglimento dei ghiacci che è in grado di percepire. La velocità media di un viaggio di questo tipo si attesta intorno ai 400 metri all’anno!

Trovo estremamente affascinante l’idea che le foreste si spostino, le immagino progettare il proprio viaggio avvalendosi dei potenti sensi di cui dispongono. Le vedo attuare la loro missione di sopravvivenza in una lunga avventura, sopravvivendo anche a noi che ci danniamo in micro pensieri quotidiani, mentre la loro vita, il loro sentire, il loro progetto ha un respiro così grandioso…

Libreria

Entro in una casuale Feltrinelli di un centro commerciale dell’hinterland milanese e mi accorgo, sfogliando qualche libro con la solita curiosità che manifesto nei confronti delle librerie, che tra i poster dei volti più noti della letteratura e del giornalismo come Umberto Eco, Stephen King, Oriana Fallaci, Franz Kafka, Dario Fo, Pierpaolo Pasolini ecc., appaiono personaggi come Luciana Littizzetto o Roberto Saviano. Proprio così: di fianco a pietre miliari della letteratura vi sono personaggi grotteschi dei giorni nostri, che sfruttano la loro popolarità per diffondere e sostenere le proprie visioni politiche distorte o per buffoneggiare e pavoneggiarsi nelle televisioni italiane. Ma non ce l’ho solamente con loro, anzi ce l’ho soprattutto con la Feltrinelli, che dimostra una incerta sensibilità verso quella che è ed è stata la grande letteratura che ha saputo farci sognare e pensare, che ci ha raccontato le grandi storie e le utopie del nostro mondo, che ha nutrito e formato i nostri padri e noi stessi.  Constato per questo che le case editrici di oggi, esattamente come le grandi etichette discografiche, non distinguono il grande pensatore, il grande filosofo o artista dal calciatore o dalla velina. Non ci resta, quindi, che confidare in noi, in noi soli, che siamo il punto di partenza e di arrivo della cultura nel mondo; siamo noi che decidiamo cosa leggere, cosa vedere, cosa imparare, cosa fare, e lo saremo sempre, nonostante facciano di tutto per appiattirci e omologarci!

MANCARSI

Succede che conosci delle persone, e con queste persone inizi ad avere un rapporto stretto, confidenziale. Trascorri lunghe ore a parlare, a rivelarti, a conoscerle nei piccoli e grandi aspetti della loro esistenza. Senti che hanno una sensibilità, una continuità con te, le chiami e ti chiamano a loro volta, le pensi e subito ti arriva una mail, o un messaggio, o accade qualcosa in stretta connessione con loro. Per te sono sempre disponibili, ci sono sempre, ti difendono, ti considerano. Sono persone che non ti tradiscono, come tu non tradiresti loro, che pregano per te, che ti stimano. Succede che le ritrovi dopo mesi e vi frequentate nelle cose quotidiane. Poi le lasci e ti senti dire o scrivere che manchi loro. Anche loro mancano a me.

Cosa significa mancarsi? Credo significhi che siamo riusciti a trasmettere in qualcuno le nostre migliori qualità, come loro l’hanno fatto con noi. Significa averle negli occhi, sentire mentalmente la loro voce, ricordare le discussioni fatte, desiderare di passare ancora del tempo con loro. Significa stare bene in quella dimensione, e non avviene affatto con tutti. Significa essersi scelti o essersi ritrovati. Quando una persona ci manca, ci manca la sua essenza superiore, ci manca il suo viso, la sua cocciutaggine, la sua risata. Ci sembra di non aver fatto o detto abbastanza, di non essere sempre stati appropriati nei suoi confronti, che potevamo accoglierla di più. Però, quando riusciamo a dire a quella persona che ci manca, penso che ce l’abbiamo fatta. Ci siamo riusciti a farle capire che è entrata a tutti gli effetti nella nostra vita e non la lasceremo sfuggire. Che ci ha arricchiti, che ci fa stare bene. La persona che ci manca è la stessa che ci fa dimenticare i nostri crucci. Significa che un filo ci lega, ed è quel filo che ci porta a dire proprio: ‘mi manchi’, che ci salva da tutto. Ecco, vorrei che alle persone che mi mancano non accadesse mai nulla di male, nulla di spiacevole. Forse a qualcuna mi è capitato di non riuscire a dirlo in tempo, e mi manca ancor di più. Chissà se i miei pensieri la raggiungono ugualmente…

Mancarsi vuol dire appartenersi. E quando una persona ci manca va cercata e va trattenuta, perché un giorno potrebbe mancarci molto ma molto di più.

September

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Agosto va verso la conclusione, e settembre è ormai alle porte. Un bellissimo mese da cui si riparte, si riprendono le attività interrotte e si formulano progetti e propositi. Nessuna vacanza, nessuna interruzione delle ordinarie attività, del proprio lavoro, della propria quotidianità, ha ragione di durare per sempre, in quanto cambierebbe la propria natura. Per me, una vacanza serve per fermarmi, riposarmi e ricaricare le pile, oppure per stancarmi in attività diverse da ciò che compio tutti i giorni. Serve, soprattutto, per fare ciò che desidero fare.

Durante la mia vacanza, io cerco la quadra di me stessa, per così dire. Mi occorre per riallinearmi, come un pianetino che, ruotando e ruotando in un sistema solare, si allontana di un centimetro al giorno dalla propria traiettoria, dalla propria natura. Ritrovata la centratura, posso riprendere da dove avevo lasciato, ma con uno sguardo diverso. Sono io a cambiare, tutte le volte, e non la realtà circostante. Siamo noi.

A settembre alzo sempre la posta. Elenco una serie di progetti e propositi che, proprio la pausa, mi ha permesso di elaborare. C’è spazio per:

  • Nuove attività a cui mi dedicherò;

  • Vecchie abitudini o attività che intenderò dismettere;

  • Progetti da avviare;

  • Rami verdi da coltivare, di cui avere cura, cioè persone nelle quali si vede del buono, qualcosa da amare in loro e di loro;

  • Rami secchi da sfrondare, ovvero persone in cui si pensava di aver visto qualcosa, ma questo qualcosa non c’era affatto. Persone che non ci hanno rispettate, non ci hanno cercate, non ci hanno capite. Persone con cui non ci sentivamo noi stesse.

La mia lista è sempre molto ricca, e per questo settembre è già pronta. Il filo conduttore, che accomunerà il tutto, sarà:

‘ESSERE CIO’ CHE VOGLIO ESSERE,

FARE CIO’ CHE MI PIACE, CON CHI MI PIACE’

Non darò spazio a ciò che sarà contrario alla mia natura né a coloro che non desidererò più nella mia vita. Sarò consapevole della mia potenza, non delegherò a nessuno la percezione di me stessa e della mia felicità.

Ecco cosa farò.

MISERIA NERA 2

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Ecco la seconda delle due lettere della scatola di metallo arrugginita. Il testo originario questa volta non è totalmente comprensibile, pertanto lo trascrivo in italiano, aggiungendo un po’ di senso in più, e aggiustando leggermente la punteggiatura:

Vergnasco, 15.10.1940

Caro figlio, ti scrivo questa lettera per darti mie notizie; noi siamo in perfetta salute e così spero di te. Ti dico che ho comprato il fieno; qui alla cascinetta riguardo il fieno non va male, adesso ho ancora erba per tre o quattro giorni, ma il fieno quest’anno è caro, pazienza. (…)

Non so cos’abbia preso alle vacche, darò loro il toro o la centella. Dimmi, caro figlio: guardo sempre se ti vedo arrivare ma è vano il mio aspettare; dicono che il 15 verrai a casa, (…) o per la fine del mese, fai sapere qualcosa. Dunque, caro figlio, qua con le vacche siamo io e il Franco, e le altre sono a casa che lavorano da matti; ieri la vacca ha partorito prima del tempo, ma il vitello è morto. (…)

Altro non mi resta che salutarti. Tuo padre Giovanni Coda.

Saluti da tuo fratello Franco.’

Parlavano di fieno e di vacche, nelle loro lettere: la loro sopravvivenza, la loro ricchezza. Parlavano di lavoro, di fatica, di attesa.

In tutti quei ‘Caro figlio’, però, quanto affetto!

PERSEIDI

NOTTE STELLATASi è ormai concluso il periodo in cui risultava più facile vedere gli sciami meteorici, ovvero le stelle cadenti. Nelle estati più lontane, l’appuntamento per scrutare il cielo e catturare quegli eventi era molto atteso. Andavo con un gruppo di amici e amiche in luoghi buissimi, a sdraiarci per terra e, immancabilmente dopo pochi minuti, il cielo si riempiva di guizzi istantanei, uno dietro l’altro, fino a non saper più dove guardare. Esprimevo sempre dei desideri, anche se devo dire che nel giro di poco tempo nemmeno ricordavo più quali desideri avessi espresso, quindi non ero in grado, nel resto dell’anno, di poter dire se si fossero avverati o no. Evidentemente non erano così importanti, solo piccole cose, forse.

Poi, due estati fa, ho volutamente scelto di non chiedere assolutamente nulla. Era un buon momento, quello, e non ritenevo di aver bisogno d’altro, in quanto sarebbe apparso egoistico. La scorsa estate, invece, sono rimasta in posizione per così dire ‘neutra’. Mi sono letteralmente incantata di fronte a quel meraviglioso spettacolo, sentendomi un puntino nei confronti di un cielo che poteva essere toccato, con milioni di stelle visibili a occhio nudo, le costellazioni in evidenza perfettamente riconoscibili, un creato da togliere il fiato!

Questa estate, avevo qualcosa da chiedere. Eccome se ce l’avevo! Ho pensato che fosse giusto farlo, perché in qualche modo l’Universo doveva pur conoscere i miei desideri, e doveva conoscerli in maniera esplicita per potersene occupare. Così, ho atteso che arrivassero le sere giuste, ma per l’intero periodo, benché le giornate fossero state più o meno serene, ecco che il cielo si copriva e rendeva invisibili le stelle. Quelle piccole lucciole sfavillanti intendevano nascondersi da me, stavo col naso all’insù ma niente da fare. Nessun baluginio improvviso, nessuna accelerazione all’impazzata, che pure ci sarà stata ma senza che mi fosse permesso vederla. Come ho interpretato il tutto? In questo modo: l’Universo desidera che io accetti ciò che riterrà di darmi, senza chiedere nulla da parte mia, perché lui sa cosa è bene per me. Farò così, con grande gioia, mi affiderò alla sua antichissima saggezza. 

Divertissement

PASCAL

Secondo Pascal, e secondo me pure, l’atteggiamento dell’uomo comune nei confronti dei problemi esistenziali è quello di ricorrere al divertissement, ovvero ad una forma di stordimento di sé ottenuta tramite una miriade di intrattenimenti sociali che gli permettono di fuggire. Ma da cosa fugge l’uomo? Sempre secondo Pascal, egli fugge da una sua propria infelicità, che è una costante, e dai supremi interrogativi circa la vita e la morte.

‘Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci.

                                                                                                                           (Pensieri, 168)

Nello stare senza occupazioni, senza passioni, senza cose da fare, e soprattutto senza divertimento, l’uomo percepisce il suo niente, il suo vuoto interiore. Il pregio fondamentale di tutte le occupazioni consiste proprio nel distrarre l’uomo dalla considerazione di sé e della propria miserevole condizione.

‘Noi non cerchiamo le cose, ma la ricerca delle cose: non viviamo nel presente, ma in attesa del futuro. In tal modo non viviamo mai, ma speriamo di vivere e, preparandoci sempre ad esser felici, è inevitabile che non siamo mai tali’.

                                                                                                                              (Pensieri, 172)

Il divertimento è solo un’illusione che non genera felicità, ma disperde l’uomo nella più grande delle sue miserie. Per Pascal, il divertimento non è un atteggiamento degno dell’uomo, il quale non deve chiudere gli occhi di fronte alla sua miseria, ma deve saper accettare, lucidamente, la propria condizione.

Beh, che dire? In questo mese di agosto, ormai verso la fine, ho fatto praticamente di tutto fuorché divertirmi. In effetti, il divertimento come occasione ricercata, come mondanità, non mi interessa da molti anni.  Il mio stile di vita è così sobrio e privo di fronzoli da indurmi a cogliere bellezze e gioie, attimi di felicità infinitesimali, che non potrei cogliere in un divertissement voluto. Detto questo, è stato ancora una volta nel mese di agosto che una grande disgrazia si è abbattuta sul nostro Paese. Ci vedo un po’ una metafora: mentre si desidera divertirsi un po’, lasciandoci alle spalle le preoccupazioni quotidiane nei giorni di Ferragosto, è lì che veniamo colpiti, come ad obbligarci a tornare alla nostra miseria di uomini, impossibilitati a non pensare alla morte.

MISERIA NERA

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Alcuni anni fa, mentre praticavo una delle mie passioni, ossia frequentare robivecchi, mercatini, persone che sgombrano vecchie case, ecc. ecc., e magari spiegherò cosa ci trovo in questa mia passione in un altro post, mi ero imbattuta in una scatola di metallo arrugginita, contenente un pacco di scritti vari. L’ho acquistata senza nemmeno leggerne uno. A casa, ho trascorso l’intero pomeriggio a passare tutta quella corrispondenza e quegli atti. Vi erano testamenti e cessioni di proprietà ottocenteschi, cartoline fasciste, lettere dal fronte, ricevute e vari altri generi.

Due lettere mi hanno colpita, e comincio col riportarne una:

Sulla busta vi è scritto: ‘Ultime volontà di mio padre’:

Trovandomi con la mia salute vacillante e non avendo nulla da lasciare ai miei cari figli e moglie, non voglio nemmeno portarne via perciò desidero che i miei funerali siano fatti senza fiori e senza accompagnamenti, di nessuna specie, nessuna messe né per i funerali e né poi solamente ricordarmi nelle vostre preghiere, desidero essere portato via col carro dei più poveri, e se possibile di notte che nessuno veda, al cimitero desidero una piccola croce di ferro, con placca di zinco con solo questa iscrizione:

Qui riposa chi nacque, visse e morì povero

Data di nascita e di morte

Se volete venire qualche volta al cimitero, non portate mai fiori, mai col tempo cattivo, mai d’inverno. Faccio formale raccomandazione importante: non vestire al lutto.

Queste raccomandazioni desidero siano eseguite. Raccomando caldamente la mia povera figlia, e sopportarla nei limiti possibili.

Vi lascio la mia benedizione’.

                                                                                    Torino, 22-4-39

                                                                                   Baldassarri Ignazio

 

Non serve commentare, ma forse ricordare cosa sia la povertà, quella vera, che è appartenuta anche agli italiani e che a molti appartiene ancora. Conservo questo scritto come fosse di un mio caro, eppure è di un emerito sconosciuto, e le sue ultime volontà sono state sgombrate da una casa come un qualunque oggetto.

Rivedere tutto

Tibet

La civiltà tibetana era militarizzata e conduceva campagne per annettere territori delle regioni montane. Ma al principio del VII secolo, un imperatore di nome Songzen Gambo decise di promuovere una trasformazione della cultura e delle istituzioni tibetane da una forma di militarismo feudale ad un modello pacifico e spirituale. Lo fece importando il modello buddista indiano, creando una lingua scritta per i tibetani e traducendovi l’immensa letteratura buddista dal sanscrito. Si trattò di una vera e propria modificazione culturale basata sulla visione morale colta del popolo. Nei secoli a venire, sotto il regno di Trisong Detsen (attorno al 790), ebbe inizio un’intensa attività di accumulo di ogni conoscenza utile in Asia: furono coltivate non solo la filosofia e la psicologia buddiste, ma anche la matematica, la poesia, la medicina, l’arte di governare, le belle arti e l’architettura. Ovviamente il Tibet scelse di smilitarizzarsi.

Nei tre secoli di storia moderna del Tibet, estrema importanza ebbero l’istruzione monastica, la produzione letteraria e filosofica, la pratica della meditazione, lo sviluppo delle arti rituali e celebrative. Questo a livello nazionale. I gradini più alti della società tibetana erano ricoperti dai grandi maestri spirituali. Così, mentre in occidente si sviluppava la conquista materiale dell’universo, oltre che dei continenti, in Tibet erano più interessati alla conquista spirituale dell’universo interiore. Mentre in occidente l’obiettivo è la maggiore produttività materiale, l’obiettivo nazionale tibetano è la maggiore produttività spirituale, che si misura dal grado di saggezza e di compassione.

Ecco cosa penso debba avvenire da noi. Anche se vengo spesso descritta da conoscenti/amici (e fratello) come idealista, io perseguo proprio il mio idealismo e affermo che tutto il male che è presente nella nostra società andrebbe sradicato attraverso una profonda opera di rieducazione della nazione. Per non essere troppo lunga in questo post, descriverò prossimamente cosa vorrei che avvenisse.

Pitagora (580 a.C. – 495 a.C.)

PITAGORA

Così disse, e ci viene narrato da Ovidio, nelle Metamorfosi:

‘Astenetevi o mortali dal contaminarvi il corpo con pietanze empie! Ci sono i cereali, ci sono frutti che piegano con il loro peso i rami, grappoli turgidi d’uva sulle viti. Ci son verdure deliziose, ce n’è di quelle che si possono rendere più buone e più tenere con la cottura. E nessuno vi proibisce il latte, e il miele, che profuma di timo. La terra generosa vi fornisce ogni ben di dio e vi offre banchetti senza bisogno di uccisioni e sangue. Con la carne placano la fame le bestie, ma neppure tutte: il cavallo, le greggi e gli armenti vivono d’erba. Sono le bestie d’indole cattiva e selvatica, le tigri d’Armenia e i leoni iracondi e i lupi e gli orsi, a godere dei cibi sanguinolenti. Ah, che delitto enorme è cacciare visceri nei visceri, ingrassare il corpo ingordo stipandovi dentro un altro corpo, vivere della morte di un altro essere vivente! In mezzo a tutta l’abbondanza di prodotti della Terra, la migliore di tutte le madri, davvero non ti piace altro che masticare con dente crudele poveri carne piagate, facendo il verso col muso ai ciclopi? E solo distruggendo un altro potrai placare lo sfinimento di un ventre vorace e vizioso?’