Ecco la seconda delle due lettere della scatola di metallo arrugginita. Il testo originario questa volta non è totalmente comprensibile, pertanto lo trascrivo in italiano, aggiungendo un po’ di senso in più, e aggiustando leggermente la punteggiatura:
Vergnasco, 15.10.1940
Caro figlio, ti scrivo questa lettera per darti mie notizie; noi siamo in perfetta salute e così spero di te. Ti dico che ho comprato il fieno; qui alla cascinetta riguardo il fieno non va male, adesso ho ancora erba per tre o quattro giorni, ma il fieno quest’anno è caro, pazienza. (…)
Non so cos’abbia preso alle vacche, darò loro il toro o la centella. Dimmi, caro figlio: guardo sempre se ti vedo arrivare ma è vano il mio aspettare; dicono che il 15 verrai a casa, (…) o per la fine del mese, fai sapere qualcosa. Dunque, caro figlio, qua con le vacche siamo io e il Franco, e le altre sono a casa che lavorano da matti; ieri la vacca ha partorito prima del tempo, ma il vitello è morto. (…)
Altro non mi resta che salutarti. Tuo padre Giovanni Coda.
Saluti da tuo fratello Franco.’
Parlavano di fieno e di vacche, nelle loro lettere: la loro sopravvivenza, la loro ricchezza. Parlavano di lavoro, di fatica, di attesa.
In tutti quei ‘Caro figlio’, però, quanto affetto!
E quanta SEMPLICITÀ, DIGNITÀ e OPEROSITÀ… qualità non facili da trovare in giro!
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Perché queste qualità stanno scomparendo?
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