Tauromachia

Era stato anche pubblicato un libretto, in Spagna, sulle ’50 ragioni per difendere la corrida’ (Francis Wolff). Di seguito, alcuni passaggi che ho tradotto dall’edizione francese.

Sulla Tortura
La corrida non ha, come obiettivo, di uccidere il toro.
La corrida ha, come fondamento, il combattimento del toro, senza di esso la corrida perderebbe di senso. Il secondo fondamento è l’impegno del torero, che deve affrontare il toro mettendosi lui stesso in pericolo di morte. Il toro combatte ripetendo i suoi attacchi: il combattimento è il contrario della tortura. Parlare di tortura, a proposito della corrida, è un insulto nei confronti di tutti i supplizi presenti nel mondo.
Sulla Sofferenza
Secondo gli studi sperimentali del Professor Illera del Portal, il toro soffre sia per il suo ingresso che per la sua uscita dall’arena (stress). Produce beta-endorfine e neurormoni che anestetizzano il dolore e provocano un’aggressiva eccitazione. Di conseguenza, il toro non reagisce alle ferite per la perdita di sangue ma per l’attacco. Se il toro combatte è dunque perché agisce conformemente alla sua natura. La corrida è un combattimento ineguale (il toro deve morire, è la rappresentazione della superiorità dell’intelligenza umana sulla forza bruta dell’animale), ma è necessario che tale combattimento sia leale (il toro deve avere delle armi: la sua possenza, le sue corna, che gli permettono di uccidere l’uomo).
Sulla Morte del toro
Rispetto alla morte disonorevole degli animali nei macelli industriali, la morte del toro nell’arena ha luogo durante un rito rispettoso. Il toro è ucciso per ragioni simboliche (l’animale vinto dall’uomo deve morire), etiche (la messa a morte è l’atto più rischioso per l’uomo), estetiche (una stoccata riuscita conclude l’opera del matador). Durante la corrida, il toro è combattuto con rispetto e non abbattuto come una bestia nociva o frettolosamente come una semplice macchina da carne. L’etica della corrida richiede che l’uomo non si consideri in diritto di uccidere il toro se non per pericolo della sua propria vita Il toro da corrida è considerato come un individuo singolare dotato di nome proprio e lignaggio, di lui si ammirano la sua bellezza e la sua combattività. Ciò che è conforme alla natura selvaggia e ribelle del toro è una vita libera e una morte nel combattimento. E’ una sorte molto più invidiabile che non quella di un manzo da macelleria.

TORO

Ci sono fortissime pressioni, in Europa, per far chiudere la pratica della corrida, finanziata dalla Comunità Europea. Gli spagnoli sono particolarmente esperti in pratiche culturali che hanno per oggetto il martirio di animali, ma la corrida è diffusa anche nel Sud della Francia, in Portogallo, in America Latina. Scandaloso che vi partecipi il Ministro francese per l’Agricoltura con incarico al benessere animale (terzo della fila). Scandaloso che, nonostante quasi il 90% dei francesi si dichiari contrario alla corrida, questo Ministro scelga, come figura pubblica, di assistervi sbattendosene del sentimento della sua nazione. E con lui Vip e Cardinali.

MINISTRO

Il 6 di ottobre p.v., si terrà un’importante manifestazione anti corrida a Parigi e mi piacerebbe molto andarci, perché questo è un tema su cui non intendo risparmiarmi. In Francia, la mobilitazione riguarda anche la richiesta di vietare per legge l’accesso alla corrida da parte di minori e l’abolizione delle scuole di tauromachia, nelle quali vi partecipano bambini a partire dai 7 anni, prossimi psicopatici in libera circolazione. Se non si comprende che la mancanza di empatia verso qualunque altra creatura, e il desiderio di spargere il sangue di un innocente, non può essere considerato normale in un bambino, come in un adulto, ed è questo anche un rischio per l’umanità stessa e per la collettiva soglia di sopportazione della violenza, cosa ne sarà di noi?

SCUOLA CORRIDA 3

SCUOLA CORRIDA 4

SCUOLA CORRIDA 2SCUOLA CORRIDA

Se si guarda negli occhi questi giovani tori, si può non provare nulla?

Fortunatamente, in alcuni uomini avviene un cambio di coscienza, come all’ex torero D. Alvaro Mùnera. Ecco una sua intervista:

Il torero animalista

gabrielecruciata / 25/03/2015

Alvaro Mùnera era un astro nascente della corrida colombiana. Quando aveva diciassette anni fu portato in Spagna da Tomás Redondo, manager del celebre José Cubero “El Yiyo”. E qui vi rimase fino al 22 settembre del 1984. Quel giorno Alvaro aveva appena diciotto anni, ma lo ricorda molto bene: «Un toro afferrò la mia gamba sinistra e mi gettò in aria». A seguito della caduta il torero riportò una lesione del midollo spinale che non gli ha mai più consentito di camminare. Ma quel 22 settembre fu solo l’inizio del cambiamento per Alvaro.

Il torero andò a curarsi negli Stati Uniti, dove si trovò per la prima volta faccia a faccia con una cultura intollerante nei confronti della tauromachia. «Ciò che mi ha reso contro la corrida e mi ha portato a difendere gli animali non fu l’incornata in sé. Forse se avessi proseguito in Spagna avrei continuato ad essere in favore delle corride», spiega Alvaro, «Piuttosto fu l’aver vissuto il mio periodo di riabilitazione in un Paese che non concepisce che la gente si diverta torturando gli animali, che ci vede come un popolo arretrato, a farmi rendere realmente conto che quello che avevo fatto era stata una barbarie assoluta».

Ciò che mi ha reso contro la corrida e mi ha portato a difendere gli animali non fu l’incornata in sé. Forse se avessi proseguito in Spagna avrei continuato ad essere in favore delle corride. L’esperienza statunitense ha cambiato radicalmente l’animo dell’ex torero, ormai obbligato su di una sedia a rotelle. Alvaro Mùnera oggi è un convinto detrattore della corrida e un agguerrito sostenitore dei diritti degli animali. «E’ stato Dio a indicarmi la giusta via» – racconta Alvaro – «Quando avevo 14 anni uccisi una giovenca in stato di gravidanza. Vidi come le estraevano il feto dal grembo, e vomitai fino all’esaurimento. Ma il mio agente mi diede una pacca sulla spalla e mi disse: “Tranquillo, diventerai una figura di prim’ordine delle corride, questi inconvenienti sono parte del lavoro”. Poco prima di partire per la Spagna uccisi un toro che in punto di morte sembrava chiedermi pietà, con tutti i suoi organi interni che fuoriuscivano dalle ferite che io stesso gli avevo inferto. Ma neanche lì mi fermai. Poi vi fu l’incidente, e finalmente capii».

L’obiettivo che Alvaro si è posto è quello di far capire alla gente quanto la corrida sia degradante e motivo di sofferenza per i tori. Secondo la World Society for the Protection of Animals ogni anno 250mila tori perdono la vita nelle corride di tutto il mondo. Gli interessi economici che muovono questo tipo di spettacolo sono enormi: latifondisti, allevatori ed agenzie turistiche premono affinché la corrida continui ad essere al centro della tradizione spagnola.

Nel 2010 alcuni esponenti del Partito Popolare hanno proposto di elevarla a “bene di interesse culturale” della Spagna. I partiti che tradizionalmente oppongono maggiore resistenza alla corrida sono quelli legati alla sinistra. Cinque anni fa il celebre fisico  Jorge Wagensberg ha partecipato ad un dibattito contro la tauromachia tenutosi all’interno del parlamento catalano di Barcellona. «Il toro» – ha spiegato il fisico – «muore affogato nel proprio sangue. La punta della spada cerca il cuore, attraversando i polmoni». Wagensberg ha poi concluso sostenendo che «Non è ammissibile uno spettacolo che si basa o richiede la sofferenza di un essere vivente». Per la prima volta nella storia della Spagna il massacro dei tori è stato messo in discussione a livello istituzionale. La Catalogna ha bandito la corrida a partire dal 1 gennaio 2012, ma un anno più tardi Madrid l’ha elevata a “Patrimonio Culturale Spagnolo”.

La corrida si tiene anche nel sud della Francia e in quei Paesi dell’America Latina in cui l’impronta spagnola è stata più forte. Le proteste degli animalisti e della società civile sono arrivate anche lì. Nel 2012 le autorità dell’Ecuador hanno dovuto annullare la corrida nella capitale Quito a seguito di forti polemiche bipartisan, e nello stesso anno a Lima si è tenuto un flashmob di animalisti peruviani che si opponevano alla violenza sui tori.

Nell’agosto del 2013 Cristophe Leprêtre, presidente dell’associazione Animavie, ha organizzato un digiuno di tre settimane per protestare contro la corrida di Minimizan, nel sud della Francia. A suo dire «Il 99% dei francesi è contrario a questo spettacolo arcaico e desueto». In Europa – oltre a Spagna e Francia – anche il Portogallo consente lo svolgimento di corride, nelle quali tuttavia il toro non viene ucciso, ma domato. Lo spettacolo è simile ai rodei statunitensi.

Colui che amo

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E’ questo uno dei più struggenti canti bretoni sull’emigrazione. Io l’adoro nella versione di Denez Prigent, con le sue ‘erre’ bretoni. Terra selvaggia, gente selvaggia (come me). La sua interpretazione può essere vista e ascoltata su You Tube. La dedico a tutti coloro che hanno perduto un amore, in qualunque maniera. An Hini a Garan.

 

COLUI CHE AMO

Colui che amo, fin da quando s’era piccoli in casa,
fin da quando eravamo ognuno accanto all’altro
il mio cuore amava uno solo;
fin da quando ero piccola in casa, colui che amo.

Colui che amo l’ho perduto per sempre,
è partito lontano e non tornerà mai più.
Ed ecco che ora canto, canto le mie canzoni
ed ecco che ora canto, canto a colui che amo.

Colui che amo un giorno mi ha abbandonata,
è partito per paesi lontani, paesi che non conosco,
partito per paesi lontani a guadagnarsi il pane,
perduto, perduto un giorno colui che amo.

AN HINI A GARAN

An hini a garan, gwechall bihan er gêr
Pa oamp tostig an eil, an eil ouzh egile
Va c’halon ne gare, gare nemet unan
Pa oan bihan er gêr an hini a garan

An hini a garan, ‘m eus kollet da viken
‘Mañ degouezhet pell ha ne zistroio ken
Ha setu ma kanan, kanan keti ketañ
Ha setu ma kanan d’an hini a garan

An hini a garan, un deiz ‘n eus va losket
Aet eo d’ar broioù pell, d’ur vro n’an’vezan ket
Aet eo d’ar broioù pell da c’hounit e vara
Kollet, kollet un deiz, an hini a garan.

Deep Adaptation

Nel suo ‘Occasional Paper’ (Studio scientifico) del luglio 2018, il Professor Jem Bendell, docente dell’Università di Cumbria nel Regno Unito, sostiene che entro 10 anni avverrà un collasso sociale determinato dalla tragedia climatica. A tale studio, intitolato ‘Adattamento profondo: una mappa per affrontare la tragedia climatica’, i revisori del SAMP, Sustainability Accounting Corporate Citizenship, hanno negato la pubblicazione su riviste scientifiche, a meno di intervenite sul testo per negare tale affermazione per non scoraggiare i lettori. Il Prof. Bendell vi si è opposto, ma questo studio circola liberamente in rete.

A differenza di ciò che ci viene proposto normalmente, e cioè che si debbano intraprendere plurime iniziative per contenere le emissioni di CO2 e modificare le nostre abitudini per invertire la rotta, questo è uno dei primi articoli che afferma che la catastrofe è assolutamente inevitabile e, pertanto, la comunità scientifica dovrebbe operare per dettare le linee guida sui comportamenti successivi al collasso. Cosa che non sta avvenendo.

Il Professor Bendell ha innanzitutto visionato tutta la letteratura scientifica dei professionisti del settore, i quali lavorano alacremente su un concetto di sostenibilità, mentre le ricerche che considerino il collasso sono quasi nulle. Alcune persone, considerano irresponsabile dichiarare che si stia giungendo proprio a quel punto, e ciò per non destare implicazioni sociali ed emotive nei lettori.

Benché negli ultimi anni vi siano stati dei progressi nel modo di affrontare la questione ambientale, nei tentativi di riduzione dell’inquinamento, nella conservazione degli habitat e dei rifiuti, il cambiamento climatico in corso impatta in misura così elevata da rendere nulle tali azioni. Questo perché tutti gli sforzi intrapresi sono orientati a mantenere le nostre società invariate e non si vuole accettare dei veri cambiamenti.

Alcuni dati presenti nello studio:

  • Da 136 anni a questa parte, 17 dei 18 anni più caldi registrati si sono avverati dal 2001 in avanti.

  • Nell’Artico, dove il riscaldamento è più eclatante, la temperatura della superficie terrestre del 2016 era di 2° C sopra la media del 1981-2010, dato che ha superato i precedenti record del 2007, 2011 e 2015 di 0,8°C, con un aumento complessivo di 3,5° C da quando sono iniziate le rilevazioni nel 1900.

  • Tale fenomeno ha portato a una drammatica perdita di ghiaccio marino, la cui estensione media è diminuita del 13,2% per decennio dal 1980, così che oltre i due terzi della copertura di ghiaccio sono ad oggi scomparsi.

  • La riduzione del ghiaccio determina una riduzione del fenomeno di riflessione dei raggi solari sulla superficie; si prevede che un Artico senza ghiaccio aumenti il riscaldamento globale in misura considerevole.

  • Nel 2014, gli scienziati hanno calcolato che questo cambiamento (riscaldamento globale complessivo) derivi per il 25% dall’aumento di temperatura causato dalla CO2 negli ultimi 30 anni. Ciò significa che se anche intervenissimo diminuendo le emissioni degli ultimi tre decenni, il risultato verrebbe superato dalla perdita della potenza riflettente del ghiaccio artico.

  • Un Artico senza ghiaccio si avvererà in una delle prossime estati, e questo fenomeno farà aumentare del 50% il riscaldamento causato dalla CO2 prodotta dall’attività umana.

  • Tra il 2002 e il 2016, la Groenlandia ha perso circa 280 gigatonnellate di ghiaccio all’anno, e le aree costiere e di bassa quota dell’isola hanno subito fino a 4 metri di perdita di massa di ghiaccio.

Alcune conseguenze citate nello studio:

  • Possiamo già notare le tempeste, la siccità, le alluvioni, dovute ad una maggiore volatilità data dall’energia presente in atmosfera;

  • Impatti negativi sull’agricoltura: il cambiamento climatico ha ridotto la crescita nei rendimenti delle colture dell’1-2% a decennio, con enormi impatti nutrizionali;

  • Impatti sugli ecosistemi marini con circa la metà delle barriere coralline del mondo morte negli ultimi 30 anni, a causa dell’acidificazione dell’acqua;

  • Il punto chiave è proprio l’acidificazione dell’acqua: nel decennio 2006-2016, l’Oceano Atlantico ha assorbito il 50% in più di anidride carbonica rispetto al decennio ancora precedente. Gli oceani riscaldati determinano una diminuzione delle popolazioni di alcune specie ittiche che impattano a loro volta sull’intera catena alimentare.

  • Aumento, in alcune regioni, di virus trasmessi da zanzare e zecche per effetto della loro maggiore proliferazione.

  • In Cina, gli studiosi prevedono in prospettiva una diminuzione del rendimento dei raccolti agricoli rispettivamente del 36,25% per il riso, del 18,26% per il frumento, del 45,10% per il mais entro questo secolo. Così in India.

  • L’acidificazione dei mari determinerà, secondo gli studi, una diminuzione del 50% della produttività ittica; miliardi di abitanti delle zone costiere di tutto il mondo ne risentirà in particolar modo.

  • Circa la metà delle piante e degli animali nei luoghi di maggiore biodiversità nel mondo scomparirà.

  • Vi saranno centinaia di milioni di sfollati interni e milioni di rifugiati internazionali.

L’opinione scientifica politicamente accettata è quella che stabilisce che si debba restare al di sotto dei 2° C di riscaldamento delle temperature ambientali globali, dando così l’impressione che si possa comunque invertire il trend. Si potrebbe intervenire seriamente con decisive e globali azioni di:

  • Piantamento di alberi;

  • Ripristino di terreni usati in agricoltura e conversione in pascolo olistico;

  • Coltivazione di erba marina e alghe.

L’agenda politica, però, deve essere massiccia a livello globale. Negli ultimi anni di innovazione, invece, investimenti e brevetti si sono orientati nel consumismo e nell’ingegneria finanziaria.

Stanno aumentando le prove del fatto che gli impatti saranno catastrofici per i mezzi di sostentamento e per le società. Si vuole evitare di voler innescare un meccanismo di disperazione nel pubblico. In realtà, per mitigare gli impatti psicologici sarebbe sufficiente cominciare a porre l’attenzione, su quanto può avvenire, sin da subito. Bisogna usare l’immaginazione e trovare soluzioni. Non bisogna lasciarsi ancora influenzare dalla nostra cultura che ci impone di vivere sempre nello stesso modo. Occorre entrare in una modalità post-consumistica e tornare ad una relazione tra uomo e natura.

L’era dello sviluppo sostenibile, pertanto, è giunta al capolinea, con i suoi approcci micro, lasciati all’iniziativa di singoli consumatori.

Abbiamo 10 anni.

Indizi

ANIME

Notoriamente, all’atto di ogni rinascita in un nuovo corpo, nel processo di reincarnazione, si perde cognizione delle vite precedenti, a meno di non essere una delle molte persone che possono testimoniare il contrario e sulle quali esiste diversa letteratura. In realtà, ciascuno di noi reca con sé alcuni indizi che possono essere letti per suggerirci qualcosa. Quando ho scoperto questo, ho cominciato ad osservare con maggiore curiosità le persone e a cercare anche per loro degli indizi; la cosa che lascia sbalorditi è che, in effetti, ce ne siano sempre e a volte spieghino ciò che non avremmo saputo spiegarci diversamente.

Le indicazioni che possono comunicarci chi siamo stati precedentemente, possono essere le seguenti:

  • Alcune Menomazioni, Cicatrici, Segni del corpo che ricalcano le ferite subite nelle vite precedenti e che – rimanendo impresse nell’anima – hanno influenzato il nuovo corpo. Conosco una persona che è nata con tutte le dita deformate e prive di alcune falangi; il mio pensiero è andato subito a lui e, avendolo incontrato di recente, non riuscivo a smettere di pensare a cosa gli fosse successo in una delle sue vite passate.

  • I Giochi che svolgevamo da piccoli. Qui un caso emblematico è mio fratello che, ancora non lo sa, ma diventerà un fratello da laboratorio nei prossimi mesi, in quanto ho intenzione di studiarlo da vicino. E’ davvero incredibile come, per ogni indizio, io vi abbia subito associato almeno una persona istintivamente. Mio fratello, all’età di pochissimi anni ha iniziato a disegnare perfettamente di punto in bianco, senza esser passato da fasi intermedie di pasticci vari; ciò che disegnava (tutto conservato) erano enormi campi di battaglia delle Guerre Mondiali, con tutti i soldatini perfettamente identificati con le loro divise e i loro attributi. Questo fenomeno è parso in effetti strano a tutta la famiglia, ma è stata ritenuta più una passione che altro (comunque inspiegabile). In realtà, mio fratello ha proseguito per il resto della sua vita a trattare la materia, divenendo un grande collezionista a livello nazionale di divise belliche di quelle epoche, con una conoscenza profondissima del periodo e dei suoi accadimenti. Si può dire che guardi solo film ambientati in quell’epoca e si trovi a suo agio con le foto dei morti nelle due guerre.

  • I Ricordi personali e i Deja vu apparentemente inspiegabili.

  • Le Fobie verso qualcosa, nate praticamente con noi stessi e non dettate da circostanze precise. Qui cito me stessa: una mia fobia (anzi, direi l’unica), è quella verso i palloncini e le esplosioni in genere. Se incontro un bambino con un palloncino in mano, io cambio marciapiede, se è in metro scendo. Quando qualcuno apre una bottiglia di spumante, io cambio stanza. Se intravedo una bombola del gas, sto male. Poiché non ho mai subìto episodi di esplosioni o altro di simile, né alcuno della mia famiglia, sono certa a questo punto di esservi incappata in una delle mie vite precedenti.

  • Le Filie, ovvero gli amori inspiegabili verso qualcosa: un ambiente, un odore, un paesaggio, un luogo. Io, ad esempio, amo così tanto la pioggia da desiderare che piova 365 giorni all’anno. Amo i paesaggi piovosi e col cielo cupo. Se in un film ordinario, vi è una scena in cui piove, io improvvisamente mi risveglio. Per la pioggia e tutti i suoi corollari io nutro un amore folle. Quando piove, io accendo i cinque sensi a mille da quando sono praticamente nata.

  • L’Attrazione o la Repulsione improvvisa e, anche in questo caso, non surrogata da particolari motivazioni, verso una persona. Questo è il riconoscimento di un’anima che abbiamo già incontrato precedentemente e con cui avevamo un legame forte.

Ci sarebbe molto altro da scrivere, sulla reincarnazione, e lo farò un po’ alla volta. Una cosa è certa: più ci si avvicina alla conoscenza di questa teoria, più ciò che essa rivela risponde a cose altrimenti inspiegabili.

Servitù

boetie

In pieno Umanesimo, mentre si faceva strada l’idea di Uomo come individuale intelligenza, apparve questo scritto di un Etienne de la Boétie neppure diciottenne, che consiglio di leggere e che dovrebbe far parte della biblioteca personale di ognuno.

De la Boètie lascia sgomenti i fini pensatori contemporanei, i quali più facilmente sostenevano che la tirannia è il dominio di uno che sottomette il popolo; per questo filosofo, invece, è l’uomo a desiderare di essere sottomesso. Le cause da lui identificate della servitù volontaria sono quattro:

  1. L’abitudine impartita da famiglia, contesto e tradizione, che contribuisce a cementare l’oblio della libertà;

  2. Le merci dell’industria culturale e gli slogan della propaganda pubblicitaria e politica; (rendiamoci conto che scriveva questo 500 anni prima dei nostri giorni!)

  3. Una certa forma di convenienza, illustrata con l’immagine omerica della ‘corda di Giove’: le briciole e la corruzione che cadono dal tavolo del padrone nutrono una sterminata schiera di subalterni, avvelenando l’intero corpo sociale;

  4. Il mistero, il velo o la maschera, dietro cui da sempre il potere nasconde il proprio volto.

Ed ecco alcuni passaggi molto interessanti, tratti dall’opera, ai quali ho aggiunto dei brevi titoli:

TIPOLOGIE DI TIRANNI

‘Esistono tre tipi di tiranni: alcuni ottengono il regno per elezione da parte del popolo, altri con la forza delle armi, altri ancora per successione di stirpe.
Quelli che lo hanno acquisito per diritto di guerra si comportano in modo da far capire bene che si trovano in una terra di conquista.
Quelli che nascono re non sono in genere migliori; nati e nutriti in seno alla tirannia, succhiano con il latte la natura del tiranno e trattano i popoli loro sottomessi come servi ricevuti in eredità; secondo l’indole cui sono più inclini, avari o prodighi, dispongono del regno come del loro lascito.
Quelli a cui il popolo ha fatto dono dello Stato dovrebbe essere invece, così mi pare, il più sopportabile; e lo sarebbe, credo, se, non appena si vede innalzato sopra agli altri, lusingato da quel non so che è chiamato grandezza, non decidesse di non togliersi più di lì. Un tipo del genere, di solito, cerca infatti di trasmettere ai propri figli il potere che il popolo gli ha concesso. E una volta convintosi di questa opinione, è straordinario vedere di quanto superi gli altri tiranni in ogni sorta di vizio e persino di crudeltà, non scorgendo altro mezzo per garantire la nuova tirannia se non serrare con tale forza la morsa della servitù.
Il modo di regnare, invece, è sempre lo stesso; gli eletti trattano i loro sudditi come se avessero di fronte dei tori da domare; i conquistatori come se fossero la loro preda; i successori pensando di farne i propri schiavi naturali.’

MODALITA’

‘L’astuzia dei tiranni nell’abbrutire i propri sudditi si dà a vedere nel modo più chiaro in quel che Ciro fece ai Lidi, dopo essersi impadronito di Sardi, la capitale, e avere catturato e preso in suo potere Creso, il più ricco dei re. Gli giunse la notizia che gli abitanti di Sardi si erano rivoltati; li avrebbe facilmente riavuti in pugno, ma non volendo mettere a ferro e fuoco una città tanto bella, né darsi la pena di avere sempre un’armata a presidiarla, escogitò un grande espediente per assicurarsela: fece aprire bordelli, taverne e sale da gioco, emanando un’ordinanza che obbligava gli abitanti a frequentarli. Fu talmente soddisfatto di questa nuova guarnigione che da allora in poi non fu più necessario tirare un solo colpo di spada contro i Lidi. Questi poveri miserabili si divertivano infatti a inventare ogni sorta di gioco, al punto che i Latini, per indicare quelli che noi chiamiamo passatempi, inventarono la parola ludi, come a voler pronunciare gli abitanti della Lidia.
I teatri, i giochi, le farse, gli spettacoli, i gladiatori, le bestie esotiche, le medaglie, i dipinti e altre droghe di questo genere rappresentavano per i popoli antichi l’esca della servitù, il prezzo della loro libertà, gli strumenti della tirannia. Erano questi i mezzi, le pratiche, le lusinghe che gli antichi tiranni avevano a disposizione per addormentare i loro sudditi sotto il giogo. Così i popoli, istupiditi, trovano belli questi passatempi, divertendosi con il vano piacere che gli balenava davanti agli occhi, si abituavano a servire in modo altrettanto sciocco, se non peggiore, dei bambini, che imparano a leggere guardando le figure luccicanti dei libri miniati.’

RUFFIANI

‘Sono i complici della crudeltà del capo, il quale dovrà essere malvagio non soltanto per via della propria malvagità, bensì anche per via della loro. Ci sono sempre almeno sei ruffiani, e questi hanno poi sotto di loro seicento approfittatori, e questi seicento fanno ai sei quel che i sei fanno al tiranno. Questi seicento ne tengono poi sotto seimila, a cui hanno fatto fare carriera, affidandogli il governo delle province, o l’amministrazione della spesa pubblica, per avere mano libera, al momento opportuno, in avarizia e crudeltà, compiendo nefandezze tali da poter resistere soltanto nella loro ombra, riuscendo cioè solo grazie a costoro a sfuggire leggi e sentenze.
Grande è poi la schiera che viene dopo, e chi volesse divertirsi a districare questa rete non ne vedrà seimila, bensì centomila, milioni, stare attaccati al tiranno con questa corda, avvalendosi d’essa come Giove in Omero, che si vantava di poter tirare a sé tutti gli dei con uno strattone di catena. Nasce da qui l’ampliamento del senato sotto Giulio Cesare, l’istituzione di nuove cariche, la creazione di nuovi uffici: non certo, a guardar bene, dall’esigenza di riformare la giustizia, ma per creare nuove basi alla tirannia. Tra favori grandi e piccoli, tra guadagni e maneggi legati al tiranno, si arriva insomma al punto che il numero di persone a cui la tirannia sembra vantaggiosa risulta quasi uguale a quello di chi preferirebbe la libertà.’

SERVITU’

‘Due uomini possono temerne uno, e persino dieci possono farlo; ma se mille, se un milione, se mille città non si difendono da un uomo solo, non può essere per codardia; questa non arriva a tanto, così come l’audacia non riesce a far sì che un solo uomo espugni una fortezza, assalti un esercito, conquisti un regno. Quale vizio mostruoso sarà allora mai questo, che non merita nemmeno la qualifica di codardia, che la natura rinnega di avere creato e la lingua rifiuta di nominare?
In realtà, cos’altro significa accostarsi a un tiranno se non allontanarsi dalla propria libertà e stringere a piene mani la propria servitù?
Infatti, sebbene asserviti, il contadino e l’artigiano sono tranquilli dopo avere eseguito ciò che gli è stato detto; il tiranno invece non perde mai di vista quanti gli stanno attorno, brigando e mendicando il proprio favore: non basta soltanto che facciano quel che dice, devono anche pensare quel che lui vuole e, spesso, per soddisfarlo, devono anche anticipare i suoi pensieri. Il loro compito non si esaurisce insomma nell’obbedirgli, devono anche compiacerlo; devono macerarsi, tormentarsi, ammazzarsi di lavoro per le sue faccende, per poi godere dei suoi piaceri, sacrificare il loro gusto al suo, forzare la loro indole, spogliarsi della propria natura.
Costoro vogliono servire per avere delle ricchezze: come se qualcosa potesse mai appartenere a chi non può dire di appartenersi; come se qualcuno potesse avere qualcosa di proprio sotto un tiranno. Vogliono atteggiarsi a padroni delle loro ricchezze, non ricordandosi che sono loro a dare al tiranno la forza di prendere tutto a tutti, senza lasciare più nulla che possa dirsi di qualcuno.
Di certo il tiranno non è mai amato, né ama. Amicizia è una parola sacra, una cosa santa; non si dà che tra uomini dabbene e non si riceve se non per stima reciproca; si stringe non in vista di vantaggi, ma di una vita buona: quel che rende un amico affidabile è la consapevolezza della sua integrità; ne sono garanzia la buona indole, la fiducia e la costanza. Non può esserci amicizia là dove c’è slealtà, là dove c’è ingiustizia; e quando i malvagi si riuniscono, si tratta di un complotto, non di una compagnia: non si amano, bensì si temono l’un l’altro; non sono amici, bensì sono complici. Questi miserabili vedono scintillare i tesori del tiranno e rimirano sbalorditi i raggi del suo fasto; adescati da questo bagliore, si avvicinano e non vedono che stanno gettandosi in una fiamma che inevitabilmente li consumerà.’

Si ha l’impressione che de la Boètie descriva alcuni personaggi che abbiamo sotto gli occhi. Se ognuno può sostenere la stessa cosa, ecco stabilita la validità di questo scritto: c’è troppa gente così in giro, che si muove per il proprio esclusivo tornaconto vendendo l’anima e, di conseguenza, la propria libertà e quella collettiva.