Mese: ottobre 2019
Scala Emotiva
Gli studi del Professor David Hawkins sono davvero molto interessanti; riguardano la misurazione della frequenza vibrazionale personale determinata da ciascuna nostra esperienza, ovvero l’impatto che questa ha sulla nostra anima. Ne è scaturita la cosiddetta ‘Scala emotiva vibrazionale’, secondo la quale le esperienze più elevate generano frequenze più alte e viceversa. Oltre agli stati d’animo (cioè dell’anima, non certo del corpo fisico) elencati, ciascuna con una propria frequenza, ve ne sono molte altre; queste, però, fungono da scala di misurazione.
Si può notare come, al gradino più basso, con valore 20, si trovi la vergogna. Provare vergogna di sé, soprattutto in forma durevole, fa precipitare l’anima verso il basso perché determina indegnità. L’anima si sente indegna di essere, vorrebbe non esistere, vorrebbe scomparire non potendolo fare. E’ un sentire tremendo, perché l’indegnità – per l’anima – è l’esatto opposto del principio di eternità e del diritto/dovere di evolvere se stessa.
A salire, troviamo la colpevolezza, che non è l’essere colpevoli di qualcosa, ma il sentirsi colpevoli, cioè provare senso di colpa. Più a lungo si provano queste sensazioni, più l’anima si danneggia. L’anima non è mai colpevole, nemmeno quando lo si possa credere se abbinata ad un vivente che abbia commesso qualcosa. Per l’anima può essere utilizzato più propriamente il termine ‘sofferenza’, mentre ‘colpevolezza’ non le appartiene.
E poi, ancora, apatia, lutto, paura, desiderio (questo è interessante ma merita un approfondimento a parte), rabbia, orgoglio. Perché l’orgoglio non si colloca ad un livello energetico più elevato, se sembrerebbe essere un buon modo per percepire se stessi? Perché è uno strumento dell’ego, dato che l’anima non ne ha alcun bisogno.
Proseguendo, incontriamo un innalzamento delle frequenze con: coraggio, neutralità, volontà, accettazione, realizzazione, e – alle posizioni più elevate – amore, gioia, pace e, per finire, illuminazione.
Ancor più interessante è l’illustrazione delle emozioni e la conseguente visione della vita corrispondente ad ogni frequenza. Ai piani bassi, l’anima soffre notevolmente e si percepisce come non necessaria, non voluta e in conflitto con le altre, mentre a salire si innesta un’armonia sempre maggiore e un valore di sé.
Ognuno di noi può rifletterci sopra a lungo e collocarsi da qualche parte secondo il punto in cui pensa di trovarsi attualmente. Io, che qualche anno fa mi sarei collocata verso la metà della scala, penso di trovarmi, in questo periodo della mia vita, ad una frequenza piuttosto alta. La propria vibrazione può essere percepita e sentita sia da noi stessi che dagli altri, e se vibriamo ad un’alta frequenza innalziamo il livello di chi ci ruota attorno. Non solo, ma ecco che nella nostra vita si affacciano persone con la stessa frequenza, con la stessa storia o la stessa ricerca in corso, mentre coloro che si trovano ad un livello notevolmente diverso se ne vanno, si distaccano. E’ come se si fosse impossibilitati a proseguire in una comunicazione, a percepire le stesse cose. Le anime prive di forza hanno bisogno delle frequenze altrui ma non è così che vanno nutrite.
Più si sale, dunque, più avviene un rinnovamento totale delle persone attorno a noi e senza alcuna mossa da parte nostra. Interessante.
(…)
E’ nel quotidiano vivere, che il silenzio viene impedito: rumori, voci, suoni, squilli. Ti si chiede di essere attento e di ascoltare i parlatori di turno; di rispondere mentre, col pensiero, navigavi altrove. Risulta inconcepibile che tu, in compagnia di altri, te ne stia zitta. Il silenzio viene letto come qualcosa che non va, forse non stai bene, hai la febbre. O forse ce l’hai con me, dato che non parli. Si aspettano dei riscontri alle loro domande, dei commenti alle loro critiche, delle opinioni sulle loro faccende; devi dare loro ragione, supportarli nelle loro continue lamentele su tutto e su tutti. Ti chiedono dove tu stia, perché non rispondi e perché hai lo sguardo altrove.
Sono nel silenzio. Mi ci tuffo sempre più spesso, in quello spazio interiore in cui tutto è calma e l’abbraccio è più vero, in cui salgono ai ricordi vissuti lontanissimi, in cui l’assoluto è il vero suono.
Il silenzio è il ponte di una sacra comunicazione. Mi dà energia e vitalità, mi toglie la negatività assorbita, schiarisce la mente, aumenta la percezione della realtà.
E’ l’anima, a necessitare del silenzio, anche se oggi tutto lo rende impossibile; ti fanno credere che il silenzio sia un danno, sia un fastidio e sia intollerabile, che non abbia valore in sé. E’ una punizione sin da piccoli: se non ti comporti bene ti metto in un angolo mentre gli altri chiacchierano in classe, non ti faccio accendere la televisione e resti in un angolo. Ma i pieni nulla sarebbero senza i vuoti, le note in assenza di pause, la materia e le stelle senza l’infinito. Ed è lì che dobbiamo immergerci ogni giorno, nel silenzio, nel vuoto che ci ricongiunge con noi stessi, con ciò che siamo di più prezioso. Si acquisisce molta forza e distacco e, quando si ritorna nel piano materiale, tutto è diverso. Osservi gli altri dannarsi per questioni che tu reputi insignificanti, risulta difficile comprenderli. Parlano, e parlano, e parlano, e commentano su tutto, su tutti, e si indignano, e criticano, e i loro discorsi, le loro parole, volano basso. Così i rumori, il vociare, il chiacchiericcio, i frastuoni. Non mi resta che ritornare – ormai con automatismo – in quel luogo profondo e lontano, dove non c’è macchia e non c’è giudizio. Dove mi ristrutturo in un processo di rinnovamento, dove chiare sono le mie qualità, la ragione per cui sono. Non cerco nulla, solo mi metto in ascolto e qualcosa arriva sempre. Intuizioni, messaggi, pace. Perché, per essere lucidi e ricettivi, il silenzio è fondamentale. Rinforza la percezione di sé, armonizza tutto, permette di comprendere l’illusorietà della vita, il teatro di marionette. Ed è un ritorno alle radici. Non sei più un figlio di qualcuno o un genitore di qualcuno, non lavori da nessuna parte né hai gli occhi azzurri (blu, nel mio caso). Il silenzio ci spoglia di ciò che è altro da noi, che ci distrae dalla vera identificazione con ciò che siamo sin dall’origine e che può andare perduto con le recite quotidiane.
Perché non rispondevo, quindi? Semplicemente non potevo, mi trovavo nel mio spazio interiore, in silenzio, dove l’amore per me è quello vero.
Ottobre
Ottobre
Un tempo, era d’estate,
era a quel fuoco, a quegli ardori.
che si destava la mia fantasia.
Inclino adesso all’autunno
dal colore che inebria,
amo la stanca stagione
che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia,
nulla più mi consola,
di quest’aria che odora
di mosto e di vino,
di questo vecchio sole ottobrino
che splende sulle vigne saccheggiate.
Sole d’autunno inatteso,
che splendi come in un di là,
con tenera perdizione
e vagabonda felicità,
tu ci trovi fiaccati,
volti al peggio e la morte nell’anima.
Ecco perché ci piaci,
vago sole superstite
che non sai dirci addio,
tornando ogni mattina
come un nuovo miracolo,
tanto più bello quanto più ti inoltri
e sei lì per spirare.
E di queste incredibili giornate
vai componendo la tua stagione
ch’è tutta una dolcissima agonia.
Vincenzo Cardarelli
Intermezzo
d’Ottobre
D’ottobre nel contado ha buono stallo:
è pregovi, figliuol, che voi v’andiate;
traetevi buon tempo ed uccellate
come vi piace, a piede ed a cavallo;
la sera per la sala andate a ballo,
e bevete del mosto e inebriate,
ché non ci ha miglior vita, in veritate;
e questo è ver come ‘l fiorino è giallo.
E poscia vi levate la mattina,
e lavatevi ‘l viso con le mani;
l’arrosto e ‘l vino è buona medicina.
Alle guagnele, starete più sani
Che pesce in lago o ‘n fiume od in marina,
avendo migliore vita che cristiani.