Disuguaglianza

ORIGINE DELLA DISUGUAGLIANZA

‘Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire “questo è mio” e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quanti assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i piuoli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: “Guardatevi dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno, siete perduti’!

Così ha inizio la seconda parte dell’opera di J.J. Rousseau Origine della disuguaglianza. Per Rousseau, la disuguaglianza non è un fatto naturale, bensì è indotto dalla civiltà dell’uomo. L’uomo di natura, che non coincide con il selvaggio, è il perfetto equilibrio tra i bisogni e le risorse di cui dispone. In pratica, ai bisogni minimi provvede la natura e, dunque, essi sono facili da soddisfare. In questa condizione, l’uomo desidera solo ciò che possiede e vive in un eterno presente. Nello stato di natura ciascuno basta a se stesso e i contatti con i propri simili sono soltanto sporadici.

Fu quando l’uomo fece le prime scoperte e divenne pescatore e cacciatore, che cominciò a unirsi con i suoi simili in libere associazioni. Questo passaggio implicò la nascita dell’impegno reciproco, che portò successivamente alla costituzione della famiglia e di altre forme di aggregazione.

Ecco altri passaggi dell’opera:

‘Non appena gli uomini ebbero cominciato a stimarsi a vicenda e si fu formata nella loro mente l’idea di stima, ognuno pretese di avervi diritto, e a nessuno fu più possibile farne a meno impunemente (…). Da ciò derivarono i primi doveri della civiltà; ne derivò che ogni torto volontario divenne un oltraggio, perché insieme al male derivante dall’ingiuria l’offeso vi scorgeva il disprezzo per la sua persona, spesso più insopportabile dello stesso male. Così, poiché ognuno puniva il disprezzo che gli era stato testimoniato in proporzione della stima che aveva di se stesso, le vendette divennero terribili e gli uomini sanguinari e crudeli’.

‘Dal momento in cui un uomo ebbe bisogno dell’aiuto dell’altro, l’uguaglianza scomparve. Si introdusse la proprietà, il lavoro divenne necessario e le vaste foreste si cambiarono in ridenti campagne che bisognò innaffiare col sudore degli uomini e nelle quali presto si videro germogliare e crescere con le messi la schiavitù e la miseria’.

Insieme con la proprietà si consolidò in maniera definitiva anche la disuguaglianza morale e politica, affermando la prima grande distinzione tra ricchi e poveri. Infine, con lo sviluppo di tutte le facoltà dell’uomo, quali la ricchezza, la bellezza, l’intelligenza, la forza, l’astuzia, ‘ben presto fu necessario o averle o simularle. Per il proprio tornaconto fu necessario mostrarsi diversi da quello che si era effettivamente – essere e parere divennero due cose affatto diverse, e da questa diversità ebbero origine il fato che getta fumo negli occhi, l’astuzia che inganna e tutti i vizi che li accompagnano. D’altro lato l’uomo, da libero e indipendente che era prima, eccolo, a causa di una quantità di nuovi bisogni, asservito per così dire a tutta la natura, e soprattutto ai suoi simili, di cui in un certo senso diventa schiavo anche quando ne diviene il padrone: se è ricco, ha bisogno dei loro servizi; se è povero, ha bisogno del loro soccorso’.

‘E infine l’ambizione divorante, l’intenso desiderio di elevare la propria condizione (non tanto per un vero bisogno quanto per mettersi al di sopra degli altri), ispira a tutti gli uomini una triste inclinazione a nuocersi a vicenda, una segreta gelosia tanto più dannosa in quanto, per agire con più sicurezza, si mette spesso la maschera della benevolenza (…) e sempre il desiderio nascosto di fare il proprio vantaggio a danno degli altri’.

‘I ricchi, dal canto loro, non appena conobbero il piacere di dominare, disprezzarono tutti gli altri e, servendosi degli schiavi che avevano già per sottometterne dei nuovi, non pensarono che a soggiogare e asservire i loro vicini, simili a quei lupi affamati che, avendo una volta gustato la carne umana, sdegnano qualunque altro nutrimento e vogliono soltanto divorare uomini’.

‘Ignorate dunque che una moltitudine di vostri fratelli perisce o soffre per la mancanza di ciò che voi avete di troppo e che vi sarebbe occorso un consenso esplicito e unanime di tutto il genere umano per appropriarvi tutto ciò che dei mezzi di sussistenza comune sorpassa la vostra sussistenza? I ricchi stimano le cose di cui fruiscono soltanto nella misura che gli altri ne sono privi, e che, senza cambiare di stato, cesserebbero di essere felici se il popolo cessasse di essere miserabile’.

‘Per legge di natura, il padre non è il padrone del figlio se non per il tempo che a quest’ultimo è necessario il suo aiuto, e dopo questo termine essi divengono uguali e allora il figlio, del tutto indipendente dal padre, gli deve, si, rispetto, ma non obbedienza, poiché la riconoscenza è certo un dovere cui bisogna adempiere, ma non un diritto che si possa esigere. I beni del padre sono i legami che trattengono i figli alle sue dipendenze, ed egli non può far loro parte della sua eredità se non in proporzione alla continua deferenza alle sue volontà. I sudditi, invece, appartengono al despota con tutto ciò che possiedono, e sono ridotti a ricevere come una grazia ciò che egli lascia loro, così che il despota fa giustizia quando li spoglia e fa grazia quando li lascia vivere. La sommossa è quindi un atto giuridico: la sola forza lo teneva in piedi, la sola forza lo rovescia’.

Infine, quest’ultima chicca:

‘L’uomo selvaggio e l’uomo incivilito differiscono talmente nel fondo del cuore e nelle inclinazioni, che quello che costituisce la felicità suprema dell’uno riduce l’altro alla disperazione. Il primo non desidera altro che quiete e libertà; invece, il cittadino è sempre attivo, suda, si agita, si tormenta, lavora fino a morire, e anzi corre alla morte per mettersi in condizioni di vivere; fa la corte ai potenti che odia e ai ricchi che disprezza, non bada a spese per ottenere l’onore di servirli, si vanta con orgoglio della sua bassezza e della loro protezione: e, fiero della sua schiavitù, parla con disprezzo di quelli che non hanno l’onore di condividerla. E questa è, difatto, la vera causa di tutte queste differenze: che il selvaggio vive in se stesso, mentre l’uomo socievole, sempre fuori di sé, invece sa vivere soltanto nell’opinione degli altri, ed è, è, per così dire, soltanto dal loro giudizio ch’egli trae il sentimento della propria esistenza’.

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