Ferirsi

FERITE

Gli alberi sono le creature più antiche e, di essi, sappiamo che possono vivere anche migliaia di anni. Sappiamo anche che, per ogni anno della loro vita, l’espansione del fusto determina un nuovo cerchio la cui traccia rimarrà evidente all’interno del tronco. Dunque, se in alcuni precisi anni della sua vita, un albero ha dovuto soffrire una forte siccità, o un’invasione di parassiti o di animali distruttivi, oppure ha subìto l’attacco del fuoco, ebbene queste ferite rimarranno incise come su un disco. E’ la memoria della loro vita, ed è un messaggio della loro sofferenza che consegnano a noi che siamo divenuti capaci di leggerlo e interpretarlo. Dove si incidono invece le nostre ferite? Nell’anima? Le ferite dell’anima possono in parte essere curate, se in qualche modo riconosciute, e lenite, ma non guariranno mai del tutto. Che non guariscano del tutto è fondamentale e funzionale. In realtà, esse si trasformano in qualcosa di meraviglioso, se solo fossimo tutti capaci di comprenderlo. Le persone che incontro tutti i giorni, e quelle nuove che conosco, hanno tutte, ma proprio tutte (me compresa), delle ferite profonde. E’ sufficiente ascoltarle e, presto, esse emergeranno con dirompenza e si riveleranno. Recentemente, sono giunta alla conclusione che è probabile che nessuna persona al mondo sia priva di profonde ferite incise nell’anima. Queste ferite, dettate da forti dispiaceri, esperienze che le hanno segnate in profondità, scardinamenti dell’asse mente/cuore/anima, hanno però un duplice scopo, in quanto da una parte ci chiedono di guardarci interiormente, di conoscerci e di volerci bene, di perdonarci e di perdonare, di evolverci attraverso l’elaborazione della sofferenza; dall’altra, ci chiedono di riconoscerci. L’umanità ha un forte bisogno di abbracciarsi, di appartenersi e appartenere al creato, di tornare a casa, in quel luogo in cui collettivamente non siamo più. Non siamo più un’umanità, non ci ‘sentiamo’ più. Siamo profondamente feriti e sconnessi dalla nostra origine e dalla nostra missione. Dunque, le ferite ricevute, quelle che pensiamo siano solo dolore da vivere con se stessi, sono un ponte verso chi è ferito come noi, chi ha lo stesso disagio. Avvicinandoci all’altro, ascoltandolo e percependo lo stesso sentire, ognuno di noi deve allungare una mano verso di lui, in quanto riconoscendo la sua ferita egli vede se stesso e le due anime si abbracciano e muovono insieme i passi successivi, si curano reciprocamente. Le due persone si riconoscono in questo come in nient’altro. Una rete basata sul riconoscimento delle ferite altrui è una rete potentissima, esattamente quanto quella utilizzata dagli alberi che, anche quando molto distanti tra loro, permette loro di allertarsi reciprocamente. Tutta la falsa socializzazione che ci circonda, invece, può solo acuire un profondo vuoto, in quanto non favorisce alcun desiderio di rivelare le proprie ferite ma, al contrario, di nasconderle per apparire ciò che non si è.

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