Un tempo c’era la pellicola fotografica; il numero di foto che ci si poteva scattare con ogni rullino era limitato, 12 o 24 se non ricordo male. Si sceglievano i momenti con attenzione, quando si era in vacanza o a qualche compleanno. Ci si metteva tutti insieme e si chiedeva a qualcuno di farci lo scatto. Potevi uscire male, in quella foto, e lo scoprivi dopo. Oppure si trattava di fotografare un paesaggio, un tramonto, da conservare come prezioso ricordo di un’emozione.
Tornati a casa, si portavano a far sviluppare i rullini e si attendevano i giorni necessari con una certa ansia. Perché si era in attesa di rivivere quei momenti, di rivedere il volto del fidanzatino estivo catturato in uno scatto, perché eravamo rientrati a casa e stavamo già perdendo l’abbronzatura di quei giorni, avevamo salutato quei luoghi, eravamo in preda alla malinconia.
Una volta ritirate le foto, si divoravano velocemente una dietro l’altra, forse più con un senso di quel tempo andato per sempre, quel momento che non sarebbe più ritornato. Alcune foto, invece, ci strappavano una risata, ma sempre con un fondo di tristezza. Guardavamo la situazione divertente e ridevamo, ma sapevamo che quella situazione divertente, quelle persone, quei giorni, erano andati. Al massimo, si riguardavano le foto pochi giorni dopo il rientro, quando – tra amici o parenti – ci si incontrava per raccontarci le rispettive vacanze. Eravamo onesti, in quel tempo. Nessuno si sarebbe sognato di voler generare invidia nell’altro: nessuna iperbolica descrizione, nessun luogo fantascientifico, nessuna roba da ricchi. Si andava al mare in luoghi semplici, si trascorrevano dei giorni dai nonni, con decine di cugini e zii, si tornava sereni e appagati e non si desiderava affatto competere. Alla fine, quelle foto venivano inserite in una scatola e per sempre, sepolte da strati di foto di altre occasioni, di anni, di vita nostra e degli altri.
Oggi non rimane nemmeno il sorriso dolce-amaro delle foto stampate. Ci sono i selfie dappertutto, e il loro significato è totalmente diverso. Non c’è imperfezione, ma desiderio di mostrarsi e di mostrare. E’ annullato ogni rapporto col tempo: il tempo della posa che non andava sprecata, il tempo dello sviluppo, il tempo che trascorreva prima che quelle foto ci ricapitassero tra le mani anni dopo. Il selfismo è un vero dramma, dal mio punto di vista, e alcuni studi sostengono che sia dilagante non solo tra gli adolescenti ma anche nel mondo adulto. Pare sia un meccanismo compensativo che si mette in atto per colmare lacune emotive ed esistenziali. Non lo so, ma forse il ricordo è tutta un’altra cosa.
Adoro il selfie interiore… fatto spesso e senza giudizio: per osservarsi e riflettere 🙂
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Allora cambiamo la parola Selfie e chiamiamoli Istantanee. 😚
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Va bene… purché possa farlo da me stesso
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